Siamo sulla cosiddetta «linea d’inverno», la stessa che, tra il febbraio del ’44 e quello del ’45,ultimo anno della Seconda guerra mondiale, segna il fronte lungo la dorsale appenninica al termine dell’offensiva alleata d’autunno contro la Linea gotica. In questa fascia di terra, stretta tra le esecuzioni di massa perpetrate dai nazisti e l’avanzare della V armata del generale statunitense Clark, in mezzo a una popolazione stremata dalla fame e dalle perdite, si trova a combattere il sergente Klaus Mann, figlio di Thomas, oramai cittadino naturalizzato americano.

La vita dell’autore di Mephisto, riceve in questi mesi una consacrazione definitiva, aprendo l’ultima parte di una tormentata vicenda umana votata forse già dall’inizio a una autodistruzione che si compirà effettivamente con il suicidio a Cannes nel 1949. E, come fosse una dolorosa epitome delle drammatiche riflessioni esistenziali e politiche, che lo scrittore andava facendo sin dall’inizio del suo esilio dalla Germania nazista, nasce Il cappellano, originariamente scritto in inglese (The Chaplain) come parte dei sette episodi che dovevano comporre il celebre film di Rossellini Seven from the US poi ribattezzato Paisà ma espunto dalla versione finale della pellicola.

RITROVATO tra i manoscritti della famiglia Mann da Fredric Kroll, biografo dell’autore, viene ora pubblicato per la prima volta in italiano da Pendragon (pp. 172, euro 15), correlato a una serie di saggi che ne inquadrano la genesi all’interno della vita e delle opere (Alberto Gualandi), della sfortunata e polemica collaborazione con Rossellini (Fredric Kroll), del contesto bellico (Pier Giorgio Ardeni) e, infine, nel ruolo di Mann all’interno della letteratura militante europea e mondiale (Susanne Fritz) e delle sue considerazioni intorno al ruolo della memoria fatte negli ultimi anni (Lorenzo Bonosi). L’episodio descritto ne Il Cappellano si svolge durante un festeggiamento natalizio in un piccolo paese dell’appenino tosco emiliano lungo il passo della Futa, in cui un giovane cappellano americano, pacifista e aperto al dialogo, incontra un ragazzo gobbo che, in un primo tempo, appare distaccato dalle vicende circostanti perché immerso nei suoi studi. In realtà, dopo una segnalazione da parte degli apparecchi di rilevamento radio, si rivela essere un informatore dei fascisti, fanaticamente convinto della loro causa, anche e soprattutto perché a indurlo a questa folle fedeltà è la figura del padre, forse un gerarca di secondo piano fuggito per evitare i rastrellamenti statunitensi.

L’EPILOGO TRAGICO, la morte del ragazzo per mano di un soldato americano, e le riflessioni del giovane cappellano, svelano infine la vera posta in gioco che l’episodio espunto voleva significare: la scelta del male come opzione che va ben oltre le convenienze immediate di tipo economico o delle stesse ideologie, tema già al centro del più volte censurato romanzo Mephisto, per configurarsi al tempo stesso sia come profonda appartenenza affettiva, qui ipostatizzata nella figura del padre, sia generata dall’isolamento totale dal resto del mondo, simboleggiato dalla deformità fisica. Una sceneggiatura intensa, dai colori che fanno vedere in trasparenza lo stesso disagio esistenziale dell’autore di fronte all’arcano della scelta nazista da parte di tanti suoi concittadini, ma anche la necessità, che si rivelerà impotente, di prendere parola come intellettuale contro la follia collettiva della guerra.