Fondata già nel 1913, in seguito al linciaggio di Leo Franck, un giovane di origine ebraico-tedesca accusato ingiustamente dell’assassinio di una quattordicenne e impiccato ad Atlanta da una folla che si ispirava al Ku Klux Klan, l’Anti-Defamation League è la più longeva tra le organizzazioni antirazziste statunitensi.

Perciò, malgrado possano apparire a prima vista paradossali, le parole contenute nella sua indagine più recente vanno prese sul serio.

L’Adl ha diffuso nei giorni scorsi un rapporto in cui definisce proprio il Klan come «una minaccia che permane nella società americana».

Per quanto diviso in molte sigle, secondo questa indagine il circuito degli incappucciati ha ricominciato a crescere nel corso degli ultimi tre anni e in modo ancor più accentuato dopo il debutto della campagna di Trump nel 2015 che ha visto mobilitarsi tutti gli ambienti della destra «bianca».

Circa 42 diverse fazioni, presenti in 33 Stati, si contendono oltre 3.000 militanti e un ambiente di potenziali sostenitori pari almeno al doppio. Sigle come gli United Klans of America in Alabama, i Loyal White Knights della California, i texani Global Crusader Knights e gli American Christian Dixie Knights presenti in tutto il Sud, attive in campagne locali, ad esempio contro lo smantellamento dei monumenti agli «eroi» confederati o in risposta alla manifestazioni di Black Lives Matter.

Un’ottantina le azioni pubbliche censite ogni anno: le più recenti, nell’ultimo mese, in piccoli centri di Indiana, Virginia e Alabama. Anche se non mancano progetti violenti, come attentati razzisti o rapine di auto-finanziamento; arresti in tal senso sono stati compiuti in Georgia e Carolina del Sud, oltre ai contatti con le gang carcerarie suprematiste.

Quanto alla diffusione geografica, il nuovo Klan copre soprattutto la fascia che va dal Texas al Maine, attraverso il profondo Sud, il Midwest e il Nordest, oltre allo Stato di Washington e a qualche contea californiana.

Come ha spiegato Oren Segal, direttore del Centro di lotta all’estremismo dell’Adl, meno della metà degli aderenti a questi gruppi si rifanno alla «tradizionale» ideologia del Klan, un mix di suprematismo bianco, razzismo contro gli immigrati e omofobia, mentre il restante 50-60% oscilla tra i rimandi al neonazismo, alla dottrina cospirazionista e antisemita della Cristian Identity e alle tesi della cosiddetta Alt-Right, identitaria e islamofoba e con più di un legame con l’amministrazione Trump.

A preoccupare i responsabili dell’organizzazione antirazzista ebraica, sembra essere inoltre il clima di impunità in cui, come sottolineato da Jonathan Greenblatt, il capo dell’Adl che si è più volte opposto ferocemente al Muslim ban voluto dalla Casa Bianca, «i razzisti hanno ripreso a diffondere la loro strategia della paura».

Proprio all’indomani della presentazione del rapporto sul ritorno del Klan, un’inchiesta di Newsweek ha del resto rivelato come il governo voglia progressivamente ridurre uomini e mezzi degli apparati di intelligence che si occupano della minaccia rappresentata dall’estrema destra, per riorientarli verso le indagini sui sospetti islamisti.

Secondo il settimanale, l’Homeland Security, gli «Interni» di Washington, avrebbe già dato il via a questa campagna di tagli, stornando 400mila dollari destinati alla ong di Chicago Life After Hate (La vita dopo l’odio) che si occupa del recupero e della reinserzione sociale dei giovani che intendono abbandonare i gruppi del suprematismo bianco.

Christian Picciolini, figlio di immigrati italiani ed ex leader dei razzisti hammerskins che nel 2010 ha lanciato l’associazione per «aiutare altri giovani come me a cambiare vita», si è detto deluso e amareggiato per la decisione, spiegando che «contro ogni evidenza, l’amministrazione di Washington si rifiuta di riconoscere che il nazionalismo bianco rappresenta una vera minaccia terroristica per il nostro paese».