Molti ne hanno evidenziato la mancanza di carattere, di leadership o i tentennamenti su questioni prioritarie. Altri sottolineano che in tutte gli incarichi ricoperti – da ministro per Okinawa negli anni 90, a ministro degli Esteri tra il 2012 e il 2017 – non abbia mai fallito. Di certo, l’elezione a presidente del Partito liberaldemocratico e, con tutta probabilità, a primo ministro, sono il primo vero grande successo politico di Fumio Kishida.

Erede di una famiglia di burocrati di alto livello e politici di Hiroshima, sopravvissuti al bombardamento nucleare del 1945, Kishida ha la reputazione del moderato, dell’uomo della «sicurezza» e della «stabilità». Anche, pare, al bancone del bar – è nota la sua resistenza all’alcol.

Tutt’altra immagine rispetto al suo concorrente, il “re” della politica social e sfidante al ballottaggio Taro Kono. Le sue promesse di una seconda ondata di rinnovamento interno al partito vent’anni dopo la «rivoluzione» di Jun’ichiro Koizumi – che, non a caso, ha aperto la strada alla carriera di ex giovani del partito, tra cui l’ex premier Shinzo Abe, il premier uscente Yoshihide Suga, e gli stessi Kono e Kishida – ha convinto la base del Jiminto, ma non ha persuaso i principali stakeholder del primo partito politico giapponese. Su di lui, sarebbe pesato il veto degli ultraconservatori e, stando ai retroscena, dello stesso Abe.

L’ex primo ministro, che con Kishida ha un rapporto di amicizia e rivalità vecchio di decenni, ha dichiarato che collaborerà con lui. E, non a caso, sono stati proprio i voti della sua cerchia, in origine schierata con l’ex ministra Takaichi Sanae, a farla spuntare a Kishida su Kono.

Appena pochi mesi fa, Kishida aveva deciso di tornare alla politica locale lasciando il suo incarico a livello centrale. Dopo tre anni a guida del Consiglio per le politiche, una sorta di think tank interno al Pld, di fatto da n. 3 del principale partito politico giapponese dal 1955 ad oggi, quella svolta fu decisiva per determinare il destino della politica giapponese nel «post-Abe/Suga».

Politici e parlamentari di Hiroshima si erano rivolti a lui per offrirgli la presidenza della sezione provinciale del Jiminto dopo una vera e propria tempesta politica che aveva interessato la città. Tra il 2019 e il 2020, Hiroshima si era trasformata, da luogo simbolo della storia contemporanea, in uno scenario da «mani pulite», al centro del quale, oltre ai principali imputati per violazioni alla legge sull’elezioni dei pubblici ufficiali — l’ex ministro della giustizia Katsuyuki Kawai e la moglie Anri, candidata a un seggio alla Camera alta nel 2019, entrambi arrestati a giugno 2020 — ci sarebbe niente meno che l’ex premier Abe, che, secondo le ricostruzioni, avrebbe dato il via libera a un finanziamento di 1,36 milioni di dollari per alimentare il giro di malaffare.

Quel caso aveva aumentato «il senso di sfiducia» verso la politica e Kishida – che, fatalità, a causa dell’affaire Kawai vide sconfitto il suo candidato al seggio locale – nel giorno del suo ritorno alla politica locale aveva promesso di voler fare di tutto per «superare quella crisi».

Hiroshima come area modello del suo nuovo mandato da presidente del Jiminto e, con tutta probabilità, da 100esimo capo del governo giapponese, proprio nelle ore in cui il governo presieduto ancora da Yoshihide Suga dichiara la fine dello stato di emergenza nel paese.

Nel percorso che ha portato alla sua elezione, Kishida ha più volte ripetuto che la sua priorità sarebbe stata la creazione di un «nuovo capitalismo giapponese» dove lo stato e le aziende lavorano insieme per ridurre le disuguaglianze prodotte da due decenni di liberalizzazioni e dalla stessa Abenomics, una serie di politiche economiche espansive sostenute dall’amministrazione Abe a partire dal 2013.

Oltre a decretare la fine del mito del «paradiso della classe media» e alla cesura con la precedente gestione Abe-Suga – il cui motto politico, nell’ultimo anno in particolare, era incentrato innanzitutto sul principio neolib dell’auto-aiuto più che dell’aiuto pubblico – almeno sul piano retorico, Kishida sembra voler spostare il piano dell’azione del suo probabile futuro governo sulle politiche sociali nel Giappone del post-pandemia. I sostegni alle piccole e medie imprese già approvati dal suo predecessore, ma non solo. Con un omaggio a uno degli artefici del miracolo economico giapponese degli anni ’60, Hayato Ikeda, Kishida aspira a realizzare un «piano di raddoppio del reddito dell’era Reiwa». La parola chiave è «ridistribuzione della ricchezza» con investimenti pubblici a favore di aziende che fanno innovazione e interventi legislativi – ad esempio nel settore degli appalti – atti a prevenire e contrastare fenomeni di dumping sociale. E ancora nel welfare, a sostegno del diritto allo studio e dell’assistenza diurna infantile, e nella rivitalizzazione delle regioni rurali.

Sullo sfondo, rimangono i costi crescenti del sistema previdenziale e della sanità, messa negli ultimi mesi a dura prova dalla pandemia oltre alla lotta ai cambiamenti climatici. Sul primo punto, Kishida è stato chiaro, durante un dibattito con gli altri concorrenti alla presidenza del Jiminto, nell’indicare nell’aumento dei posti letto il pilastro dell’intervento pubblico nella sanità. È assai probabile infatti che l’azione di un suo eventuale esecutivo dovrà gestire la coda della quinta ondata di Sars CoV-2, e preparare la risposta ad una probabile sesta ondata, in un momento in cui la percentuale di cittadini giapponesi adulti che hanno completato il ciclo vaccinale è inferiore al 60%.

Sul secondo punto, invece, Kishida ha glissato, indice, probabilmente, che il piano di decarbonizzazione entro il 2050 del governo uscente verrà ereditato da quello entrante.

In politica estera, come già ricordato nei giorni scorsi su queste pagine, Kishida è un esponente di spicco della corrente «liberal» del Jiminto. La conservazione dello status quo – alleanza con gli Stati Uniti, internazionalismo in seno all’Onu e rapporti cordiali con i vicini asiatici – le sue priorità. Favorevole al rafforzamento della postura di difesa giapponese in Asia – non a caso con lui a capo del Ministero degli affari esteri, il governo giapponese ha rivisto le proprie politiche di cooperazione internazionale in un’ottica maggiormente securitaria per «contenere» l’avanzata cinese nel Mar cinese meridionale – gradito al Dipartimento di Stato di Washington, al contempo, predica moderazione nei confronti della Cina. D’altra parte, però, ha annunciato che perseguirà la strategia del Free and open Indo-Pacific di Washington ed è prevedibile una maggiore cooperazione con Washington su Taiwan – ha annunciato, ad esempio, il sostegno alla candidatura di Taiwan nell’accordo di libero scambio in fieri del Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP). Inoltre, pare intenzionato a proseguire l’opera di Abe sulla restituzione dei cittadini giapponesi rapiti dalla Corea del Nord.

Su questo, l’interrogativo è se la colomba Kishida diventerà falco. E gli indizi che Abe e la destra del partito avranno voce in capitolo in politica estera e di sicurezza – facendo leva sul supporto esterno all’elezione di Kishida a presidente del partito, o sull’influenza di personalità come Takaichi o Nobuo Kishi, fratello biologico di Abe, già ministro della Difesa sotto Suga – ci sono tutti.