Andavano lette ad alta voce, con tutte le intonazioni dei personaggi, mimando la cantilena delle parole e le assonanze ipnotiche di meravigliose invenzioni linguistiche, uno scoppiettìo rigoglioso, come le foreste africane e indiane che venivano narrate. Rudyard Kipling raccontava le sue «storie proprio così» (Just So Stories, in originale) in quel crepuscolo della mente che avvolge i bambini prima che si abbandonino al sonno. D’improvviso, quella veglia già onirica si popolava di animali stravaganti, che spiegavano in modo fantastico le tappe di un’evoluzione per nulla darwiniana e tantomeno scientifica.

La prima a goderne, di quelle storielle deliziose, fu la primogenita Effie («oh, angelo mio» è il refrain che la introduce dritta dritta dentro le pagine), poi a ruota tutti gli altri figli, amichetti compresi. L’editore Donzelli ora ne ripubblica alcune (già nel 2010 le aveva proposte in una elegante versione rilegata), concedendo il titolo al felino della savana e spostando lo scenario in un assolato paesaggio sudafricano: Rudyard Kipling Come mai il leopardo ha le macchie e altre sei Storie proprio così (pp. 159, euro 14). La traduzione è di Bianca Lazzaro che, però, interrompe l’andamento ritmico della prosa e scioglie le cadenze e le «formule incantatorie», a cui amava richiamarsi Kipling.

Le illustrazioni sono opera di May Angeli, un’artista francese celebre soprattutto per la sua tecnica di incisione sul legno: non è un particolare trascurabile perché Kipling disegnò per i suoi racconti altrettante tavole in bianco e nero, utilizzando la medesima tecnica. Il risultato fu una serie di raffinate silhouettes, quasi ombre cinesi ritagliate nel candore della carta. Nipote del preraffaellita sir Edward Burne-Jones, amico di Audrey Beardsley, lo scrittore premio nobel nel 1907 non disdegnava neanche le stampe giapponesi: nelle prove di pittura fece tesoro del suo sguardo onnivoro.

Quelle brevi storie – perché la balena ha la gola stretta, il cammello la gobba, il rinoceronte la pelle grinzosa e ruvida, l’elefante la proboscide e gli armadilli sono così eccentrici, ma anche perché il gatto se ne va sempre per fatti suoi (qui non riportata) – non subivano mai variazioni. A confessarlo è Kipling stesso perché con Effie «non era permesso alterarne neppure una parolina. Andavano raccontate proprio così (da qui il titolo, ndr), altrimenti sarebbe saltata su per ripristinare la frase mancante». Nella narrazione si mescolano liberamente cose conosciute e fascino dell’ignoto – anche se lo scrittore, per descrivere il limaccioso grigioverde fiume Limpopo, protagonista della lotta acquatica fra un elefantino e il coccodrillo, era andato sulle sue rive, a vederlo di persona.

Siamo certi che fra i rami della savana o della giungla si siano addormentati, come Mowgli, uno dopo l’altro, tutti i suoi figli. Sognando terre lontane e bellissime.