Lunedì 15 novembre prende il via nelle sale del Filmstudio e del Politecnico, «kinomata: la donna con la macchina da presa»  mostra del cinema d’Inverno organizzata dagli Incontri Internazionali d’Arte e curata da due giovani cineaste, Annabella Miscuglio e Rony Daopoulo.

Il centinaio di film presentati in quindici giorni fanno di «Kinomata» la più importante mostra di cinema della donna a livello internazionale, naturalmente non solo per la quantità delle opere presentate, ma per il lunghissimo lavoro di ricerca e la qualità dei film. Il merito della rassegna è quello di porsi come alternativa, ancora una volta, alla chiusura che esiste in Italia rispetto alla diffusione della cultura cinematografica. La storia del cinema è sepolta nelle tre cineteche di Torino, Roma e Milano e i negativi, per mancanza di fondi, rischiano di andare definitivamente distrutti. Un’altra funzione della rassegna è quella alternativa rispetto alla produzione, distribuzione ed esercizio che mantengono una posizione di chiusura verso il cinema «anomalo» di fronte a quello imperversante sul mercato, cioè la sperimentazione, il cinema «marginale», quello proveniente da paesi di recente industrializzazione o con forti movimenti di rinnovamento o quel cinema così raramente commerciale come è quello fatto dalle donne.

Nell’impossibilità di vedere tutte le opere presentate ognuno avrà la possibilità di costruirsi il proprio festival personale scegliendo i film nelle due sezioni parallele della rassegna. La prima è un’analisi della cinematografia internazionale, dalle origini del cinema ai giorni nostri che, oltre a far conoscere opere sconosciute in Italia, vuole porre interrogativi sulla ricerca espressiva delle donne e sul rapporto con l’industria cinematografica che viene individuato in un rifiuto dell’identificazione del ruolo troppo codificato di regista.

La seconda sezione è un’indagine storica sugli stereotipi femminili creati dal cinema popolare italiano e assorbiti da generazioni di spettatrici. Si è voluto porre l’accento non solo sui modelli proposti dal sistema, ma anche sulla carriera delle «dive» italiane trasformate completamente dal successo e dalla ricchezza, metamorfosi su cui continua a sognare chi è paralizzato dalla povertà o dalla noia. Una rassegna di questo tipo non è un ghetto, si può anzi definire una manifestazione post-femminista, che ha lo scopo di vedere a che punto siamo in questo campo, incontrarci e discutere con registe, produttrici, critiche italiane e straniere.

Dal 1 al 15 dicembre la rassegna sarà presente anche a Milano all’Obraz Cinestudio, al cineclub Brera e all’Umanitaria popolare d’essai. Segnaliamo alcuni film da non perdere: Attica di Cinda Firestone che documenta dal vivo la rivolta delle carceri del 1971 finita in un massacro; The girl in the armchair del 1902, di Alice Guy, la prima donna cineasta che, pare, realizzò il suo primo film (La Fée aux Choux) ancora prima di Méliès. La souriante Madame Beudet (1921), il più bel film di Germaine Dulac, attiva femminista prima di iniziare la sua carriera cinematografica e di dare uno dei più importanti contributi teorici del periodo del cinema muto.

Sono da vedere i film altrimenti introvabili, di Lotte Reiniger, Maya Daren e Judith Elek. Sarà presente Karen Arthur con Legacy (1973) anche produttrice di questo film sull’isolamento e sulla disperazione della vecchiaia non accettata da parte di una americana della middle class. Si entrerà nel vivo degli studi teorici con Laura Mulvey e Peter Wollen che presentano Penthesilea queen of the amazons (1974) realizzato in coppia; The other half of the sky, di Shirley McLaine e Claudia Weill, l’incontro della cultura statunitense e della cultura cinese nell’appassionato resoconto di un viaggio in Cina di un gruppo di donne nel 1973.

Quindi Take off, su uno spettacolo di streap tease, di Gunvor Nelson, affermata autrice underground americana e Women’s happy tyme commune del Women make movies di New York, un western che usa con irriverente ironia il gergo dei Women’s Lib; Jeanne Dielman, 23 Quai du commerce, 1080 Bruxelles di Chantal Akerman, ovvero i gesti quotidiani nel loro tempo reale, ma anche uno dei più personali linguaggi cinematografici contemporanei. Anatomie d’un rapport, altro film «in coppia», firmato da Antonietta Pizzorno e Luc Moullet, del 1974: la crisi sessuale di una coppia provocata dalla militanza della donna nell’MLF, che mostra la difficoltà di conciliare teoria e condizionamenti, Filikorna di May Zetterling del 1968. In più i film con Anna Magnani, Eleonora Duse e Francesca Bertini, la prima diva del cinema italiano.

(14 novembre ’76)