Le Giornate degli autori si sono fatte un regalo: One on one di Kim Ki-duk come film inaugurale della sezione. Forse alla Mostra erano rimasti scottati dopo le pesanti critiche piovute per Moebius, presentato lo scorso anno Fuori concorso, ma non bisogna dimenticare che solo due anni fa il regista sudcoreano aveva vinto il Leone d’oro con Pietà dopo averci offerto dei capolavori come l’indimenticabile Ferro 3.

Comunque sia ecco il maestro coreano aprire la sezione autonoma della Mostra con un film all’altezza della sua fama. Disperato e disperante, durissimo nei confronti della realtà del suo paese, che a parte qualche connotazione specifica non è così diversa da quella di tanti altri paesi occidentali. La storia si apre in modo quasi confuso, con una ragazzina che fugge, inseguita da malintenzionati. Finisce ammazzata. E la notizia corre via telefono portatile. Dai manovali della violenza risale sino ai potenti e compiaciuti mandanti dell’omicidio.

Poi però succede qualcosa di inaspettato. Una squadra paramilitare, addestrata e determinata, ha rapito uno degli assassini. L’obiettivo è ottenere una vera dichiarazione di colpevolezza in cui si racconta come è andata e i nomi di chi sta sopra nella scala gerarchica che ha voluto il crimine. Kim Ki-duk non si nasconde quando si tratta di rappresentare momenti di violenza. Qui poi c’è una sorta di giustificazione perché Le ombre agiscono come vendicatori.

Di volta in volta la squadretta assume connotazioni e divise sempre diverse per catturare uno a uno i responsabili, non cambiano invece obiettivi e metodi per perseguirli, con torture sempre più pesanti. Ma anche tra chi ha optato per una sorta di giustizia fai da te emergono dei dubbi. Punire i violenti con una violenza seppure di segno contrario sembra essere una risposta speculare ma non dissimile.

Kim Ki-duk ha dichiarato come questo sia il suo film più esplicitamente politico. Non solo per i reiterati rimandi alla Corea del Nord, sempre presa come riferimento altamente negativo («peggio dei comunisti») ma perché nel contesto si coglie come al Sud, dietro un benessere più diffuso, le cose non vadano poi meglio.

La corruzione non solo è imperante, ma è un valore che conferisce potere e autorevolezza. Presentato nel contesto veneziano con le ruberie legate al Mose, suona perfettamente in linea. C’è poi quella che si potrebbe definire la difesa di Norimberga. Gli assassini catturati si difendono affermando di avere solo eseguito gli ordini, come se questo potesse giustificare alcunché. Da quel lontano storico processo nessuno può più nascondersi dietro quella miserabile scusa per giustificare di avere compiuto nefandezze.

Essere umani significa assumersi la responsabilità di esserlo e l’accettazione supina degli ordini è solo l’ultimo stadio, complice e attivo, dell’accettazione passiva di tutto quanto quotidianamente tolleriamo con colpevole silenzio o limitandoci al mugugno.
Per questo Kim Ki-duk considera One on one il suo film politico, per questo lo si guarda con brividi d’orrore e un po’ di imbarazzo, perché i grandi criminali non sono solo nelle fila delle varie mafie coniugate in lingue e dialetti diversi, stanno lassù, nelle stanze dei bottoni e si ritengono intoccabili dalla giustizia che sembrerebbe valere solo per la gente comune. E perché non c’è nulla di buono quando a un gruppo di criminali se ne sostituisce un altro, seppure in risposta a un torto subito e al lacerante dolore che ne consegue.