Quasi quattro decenni dopo aver fondato i Sonic Youth con solo una drum machine, una chitarra e qualche pagina pubblicitaria che avrebbe rielaborato nei suoi testi, Kim Gordon ritorna sulle scene con il suo primo, straordinario disco solista, No Home Record, che sembra rivivere quel momento di magica incoscienza e libertà. Ritornata nella Los Angeles che l’ha vista crescere, dopo lo scioglimento della band nel 2011, per Kim l’idea iniziale era di realizzare uno «strano disco jazz», intenzione che permane nei modi subliminali e obliqui che ricordano Blackstar di David Bowie o Bish Bosch di Scott Walker, mescolando i The Stooges a FKA Twigs, con alcuni spunti sorprendenti come l’elettronica, il trip-hop e l’hip-hop degli anni ’90, anche se un elenco di nomi ed etichette di genere non possono esaurire la tavolozza sonora sfaccettata (e sfacciata) dell’album.

«NO HOME RECORD» infatti abbaglia con l’eccitante cocktail di stili sovracitati e il prefisso del titolo, un enfatico «No», suggerisce al tempo stesso un annerimento, una cancellazione del passato, delle convenzioni e del riciclaggio nostalgico. Kim Gordon disegna così il grande paesaggio super-moderno di Los Angeles, e, a tratti, il disco sembra quasi un’installazione sonora realizzata per un «non luogo» di Marc Augé, teso all’astrazione, al diradamento – se non alla cancellazione – dell’identità e dell’idea di una cultura localizzata nel tempo e nello spazio. Evitando completamente il concetto di melodia vocale, Kim Gordon gioca con le immagini, offrendo linee vocali e testuali che lasciano che sia l’ascoltatore a dedurre se sta davvero parlando di se stessa o semplicemente recitando un personaggio. Il senso di impermanenza della sua Los Angeles, forse la più transitoria della città, si riflette in tutti e nove i brani.

IN PARTICOLARE in Air BnB, la canzone dal suono più «familiare», che funge anche da j’accuse contro la gentrificazione che sta uccidendo le città e nel primo singolo Sketch Artist dove la poesia, deliberatamente ambigua della bassista si stende su un tappeto di electro-clash industrial. No Home Record dunque traduce l’esperienza dello spirito vuoto di un «non luogo» che si diffonde come l’espansione nel territorio della vita delle persone, cancellando, sradicando, eliminando la storia. Un esperimento musicale potente, tanto liberatorio quanto desolante nel fotografare il vuoto contemporaneo.