Martedì, con le dimissioni del primo ministro Mykola Azarov e la revoca delle leggi «anti-protesta», c’era stato un passo in avanti sulla strada del compromesso. Ieri, invece, la sessione speciale della Rada, il parlamento ucraino, sulla crisi non ha prodotto risultati.

Il tema principale all’ordine del giorno era l’amnistia nei confronti di chi, da quando sono esplose le proteste contro il presidente Viktor Yanukovich (21 novembre), poi tramutatesi in scontro aperto e violento, è stato arrestato. Il Partito delle regioni, di cui Yanukovich è il numero uno, la vincola allo sgombero delle barricate a Kiev e alla fine dell’occupazione dei palazzi del potere, nella capitale come nell’ovest del paese, dove diversi governatorati regionali sono sotto il controllo dei dimostranti. Arseniy Yatseniuk, Vitali Klitschko e Oleh Tyahnybok, i tre capi dell’opposizione parlamentare, hanno respinto la cosa. Non esiste che la gente se ne torni a casa, hanno detto.
In aula s’è discusso anche delle modifiche alla costituzione, che dovrebbero spostare dalla presidenza al parlamento il baricentro del sistema politico. Ma anche qui, nulla di fatto.

Oggi si riprenderà a discutere, ma una sintesi sembra lontana. Tanto che Leonid Kravchuk, il primo presidente dell’Ucraina post-sovietica, ha rimesso l’accento sul pericolo di guerra civile, proponendosi come garante dei colloqui tra i due poli. Non sarebbe insensato, visto che il tasso di fiducia tra Yanukovich e l’opposizione, che pretende elezioni presidenziali anticipate, rasenta lo zero, volendo usare un eufemismo.

Fuori dai palazzi, situazione resta abbastanza statica. Quindi tesa. Qualche novità comunque c’è. La prima è la morte di un agente di polizia, comunicata dalle autorità. Ma non è chiaro come l’uomo sia deceduto. La seconda riguarda la fine dell’occupazione del ministero dell’agricoltura. A quanto pare gli attivisti radical-nazionalisti di Spilna Prava, che s’erano barricati nell’edificio, sono stati convinti a schiodarsi dall’ala moderata di Euromaidan (questo il nome che alla fine s’è dato il movimento ucraino anti-Yanukovich).

Il che indurrebbe a credere che Klitschko e soci vogliano cercare di tenere a bada le frange più irrequiete del loro gregge. Forse anche l’Unione europea, che sostiene il compromesso tra Yanukovich e l’opposizione, sostenendo comunque la seconda, è preoccupata dalla presenza, nel grande guazzabuglio che c’è sulle piazze del paese, di elementi non così raccomandabili. Potrebbero complicare le cose Klitschko e gli altri, dando modo a Yanukovich di tenere aperta l’opzione dello stato d’emergenza.

In questi giorni Bruxelles ha azionato le sue leve diplomatiche. Dopo il commissario all’allargamento Stefan Fuele, ieri a Kiev s’è vista Catherine Ashton, titolare della politica estera comunitaria. Ha incontrato Yanukovich. D’altronde, visto che i due schieramenti di Kiev non riescono a mettersi d’accordo, la soluzione a questo pasticciaccio dovrà passare anche dal fronte internazionale.

E veniamo così alla Russia. Non è disposta al regime change. Né intende togliere la bandierina dall’Ucraina, la cui partecipazione – piena o parziale – all’Unione eurasiatica, il progetto a trazione russa con cui Vladimir Putin intende integrare lo spazio post-sovietico, è decisiva alla riuscita di questo stesso disegno. Ieri la Russia ha messo sul piatto un po’ di carota e un po’ di bastone. Da un lato ha confermato di avere già acquisito bond ucraini per tre miliardi, onorando l’accordo su prestiti e sconti sul gas, che avvicina Kiev a Mosca, sottoscritto a dicembre. Dall’altro ha attivato restrizioni alla dogana sulle merci ucraine.

L’aveva già fatto in agosto, ma se allora la mossa era servita come monito a Yanukovich a non firmare gli Accordi di associazione con l’Unione europea, stavolta sembrerebbe orientata a mettere alle corde l’opposizione, evocando una delle tante responsabilità che si caricherebbe sul groppone – e che ricadrebbe anche sull’Ue – in caso di mancato compromesso. Compromesso che, logicamente, dovrà tenere conto delle «esigenze» di Mosca.