Chiudere il conflitto a est in questo fine settimana. Così aveva dichiarato lunedì il nuovo presidente ucraino Petro Poroshenko. Una frase che può indicare che Kiev e Mosca stanno cercando di raggiungere un cessate il fuoco, che aiuti poi a intavolare una trattativa sulla stabilizzazione dell’Ucraina. Ma anche che Kiev continuerà nelle prossime ore l’offensiva a est per recuperare quante più posizioni possibili. La cosa più probabile, comunque sia, è che le due opzioni si intreccino. La cronaca dal fronte bellico e da quello diplomatico sembrano evidenziare questo aspetto.

Ieri l’esercito di Kiev (foto reuters) ha riconquistato la città portuale di Mariupol, tra i punti critici degli scontri nella regione di Donetsk. Nell’operazione, che ha portato alla morte di cinque ribelli filorussi, sono state impiegate anche le brigate Dnepr e Azov. Si tratta di gruppi paramilitari, composti da volontari che, insieme agli effettivi della guardia nazionale, reclutati tra i «lottatori» della Maidan, integrano le forze regolari.

Altre notizie sono giunte da Donetsk. Una riguarda l’esplosione di un minibus, che ha ucciso due persone. Il mezzo apparteneva a Denis Pushilin, uno dei capi della cosiddetta Repubblica di Donetsk. Un’altra notizia concerne la rimozione di Vyacheslav Ponomarev, il sindaco di Sloviansk. Al suo posto è stato nominato Vladimir Pavlenko, un russo. Come il primo ministro e il responsabile della difesa dell’entità di Donetsk, Alexander Borodai e Igor Strelkov. Gli analisti interpretano il crescente ruolo dei russi come il tentativo di sbarazzarsi dei circoli ucraini della ribellione con pulsioni predatorie e smanie d’onnipotenza. Il Cremlino teme che l’insurrezione diventi ingestibile, dicono gli stessi analisti, spiegando che non è semplice capire se Borodai, Strelkov e i numerosi combattenti russi a Donetsk rispondono a ordini del Cremlino.

Una terza notizia, infine, riguarda il transito di tre carri armati nel territorio degli insorti. Kiev e la Nato, che accusano Mosca di sostenere i ribelli dell’est, sostengono che siano giunti dalla Russia. Il Cremlino, che intanto denuncia il possibile uso di armi al fosforo da parte di Kiev, ha sempre rispedito al mittente l’accusa. Il modello dei carri avvistati ieri (T-64) è manufatto in Ucraina e induce a credere, come affermano i ribelli, che come le armi in loro possesso provenga da arsenali ucraini. E sembra evidente che gli insorti vogliono rafforzare il loro potenziale, in vista di quello che – pensano – sarà l’assalto finale di Kiev su Donetsk.

E si negozia. Ieri la Russia ha presentato al Consiglio di sicurezza dell’Onu una risoluzione, che sulla falsa riga di un testo presentato a inizio mese invita i filorussi e Kiev a raggiungere il cessate il fuoco. È uno dei punti della road map su cui l’Osce lavora, senza risultati. La tregua dipende dalla volontà politica di Putin e Poroshenko. Qualcos si muove. Putin riconosce Poroshenko come interlocutore, Poroshenko sa che il Cremlino è parte della soluzione. Giovedì i due capi di stato hanno avuto un colloquio telefonico. Nei giorni scorsi Poroshenko ha ordinato l’apertura di un corridoio umanitario che consenta ai civili dell’est di fuggire dalla guerra.

Qualche indizio sul negoziato s’intravede dal tavolo sul gas. Kiev ha un debito notevole verso Mosca. Ne ha saldato solo una parte e pretendendo un taglio sulle tariffe più netto di quello proposto dalla controparte, disponibile a portarlo da 485 a 385 dollari per mille metri cubi. Mosca ha annunciato a più riprese l’interruzione delle forniture, in caso di mancato incasso. Ma sta spostando sempre più in là da deadline, fissata a lunedì. Segno che, nonostante il caos, si cerca di sventare il muro contro muro. Va però segnalato che il governo ucraino ha chiesto alle autorità energetiche del paese di studiare un piano che compensi l’eventuale chiusura dei rubinetti da parte russa. Insomma: sul gas e a est si negozia, pensando anche al peggio.