Ieri Kiev ha fatto un ulteriore passo sulla strada del confronto militare. Dopo i ripetuti annunci di Poroshenko, Jatsenjjuk, Turcinov e compagnia, la Rada ha infine votato la rinuncia allo status di paese fuori dai blocchi, giudicandolo inefficace a garantire la sicurezza di fronte alla «aggressione della Federazione Russa». Come da copione, hanno votato a favore i gruppi parlamentari della coalizione di governo, più alcuni franchi tiratori di altri gruppi. Anche la frazione del «Blocco di opposizione», pur votando contro, lo ha fatto non a ranghi compatti: sui 30 deputati del gruppo, 18 non hanno votato e 14 erano assenti. Nello specifico del provvedimento, dalla legge «Sui principi della politica interna ed estera» al posto della norma sullo status fuori dai blocchi, compare ora quella sulla collaborazione con la Nato «per raggiungere i criteri necessari a divenirne membro». Alla legge «Sui principi della sicurezza nazionale dell’Ucraina» si aggiunge l’emendamento secondo cui tra le priorità degli interessi nazionali c’è l’integrazione nello spazio politico, economico e giuridico europeo allo scopo di divenire membri di Ue e Nato.

Il rappresentante russo presso l’Osce, Andrej Kelin, ha dichiarato che la Russia considera il passo di Kiev non amichevole. Il premier Dmitrij Medvedev ha detto che l’atto trasforma il paese in un «potenziale nemico militare della Russia». Anche il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha dichiarato che la decisione ucraina avrà effetti negativi: è un atto «controproduttivo che alimenta solo il confronto e crea l’illusione che sia possibile risolvere la profonda crisi interna dell’Ucraina adottando leggi simili». Secondo Lavrov, Kiev avrebbe invece dovuto seguire una strada più ponderata: quella del «dialogo con la parte del popolo che invece è stata completamente ignorata al momento del colpo di stato».

Da parte della Nato si dà ovviamente un’altra valutazione del provvedimento di Kiev: «Rispettiamo la decisione della Rada ucraina» hanno detto a Bruxelles; «l’Ucraina è uno stato indipendente e sovrano, e a esso soltanto spetta assumere decisioni sulla propria politica estera». Al Segretariato dell’Alleanza atlantica hanno anche detto che se Kiev dichiarerà di voler entrare nella Nato, l’Alleanza risponderà con una relativa valutazione sull’adeguatezza del paese a divenirne membro. Ieri la Tass rilevava come al summit di Bucarest del 2008 si fosse stabilito che l’Ucraina potrà divenire membro della Nato se risponderà agli standard e ai principi dell’Alleanza; al tempo stesso, non possono entrare nella Nato i paesi in cui sussistano dispute territoriali, come è il caso di Crimea e Donbass. «Gli esponenti dell’attuale direzione ucraina» ha detto ancora Lavrov «che si esprimono per la rinuncia allo status fuori dai blocchi, non nascondono di agire così per risolvere con la forza i problemi del sudest del paese». Proprio mentre anche la Lituania prepara, secondo Ria Novosti, una forza di reazione rapida da schierare ai confini russi.

E a parere di alcuni esperti, l’abolizione dello status di paese fuori dai blocchi, muterebbe anche le condizioni per i colloqui di Minsk, la cui riunione è attesa per oggi e venerdì prossimo, anche se, per la verità, non è chiaro in quale formato: il Presidente ucraino Poroshenko parla di Ucraina, Russia, Germania e Francia, senza nominare le Repubbliche del Donbass; a Minsk si parla invece dell’incontro a tre (Donbass compreso) nell’ambito del Gruppo di contatto. Quest’ultimo, riunito una prima volta il 5 settembre scorso nella capitale bielorussa, in tutto questo tempo non ha potuto far altro che prendere atto della precarietà di ogni dichiarazione sul cessate il fuoco. Anche l’ultima tregua, formalmente in vigore dal 9 dicembre, pur se più fruttuosa rispetto al passato, non ha ancora prodotto effetti duraturi: continuano i bombardamenti delle forze governative sui quartieri civili di Donetsk e Lugansk e il numero dei morti dall’inizio del conflitto ha già abbondantemente superato la cifra di 5.000 (più del doppio i feriti): molti di più di quanti se ne contino, ad esempio, a Gaza. Tra questi, anche i 298 passeggeri del Boeing malese abbattuto lo scorso luglio sul Donbass e di cui si è tornati a parlare ieri: la Komsomolskaja pravda ha incontrato quello che sembra essere un testimone attendibile che avrebbe visto, all’aeroporto di Dnepropetrovsk, la partenza e il rientro del caccia ucraino SU-25 responsabile, sembra, dell’abbattimento del Boeing.

Intanto, mentre il Ministero della Difesa ucraino annuncia il raddoppio delle spese militari, Petro Poroshenko, in un colloquio telefonico con Barack Obama, ha ringraziato pubblicamente Washington per il blocco economico decretato contro la Crimea e per il recente provvedimento del Congresso statunitense «in sostegno alla libertà dell’Ucraina».