Contrariamente a quanto affermata da alcune agenzie di stampa nazionali, ieri il ministro della Difesa ucraina, ora nelle mani di un ex generale dell’esercito, ha specificato in un comunicato che «non ci sarà più alcun annuncio di cessate il fuoco unilaterale», a meno che i filorussi non depongano le armi e non si arrendano. Ipotesi che a Kiev sanno bene essere impossibile. Si continua a combattere dunque, nelle regione dell’est.
La nuova guida delle forze armate ucraine pare aver dato nuova linfa all’esercito.

Alcuni analisti hanno tirato in ballo anche questioni psicologiche, secondo le quali i soldati avrebbero superato la barriera mentale di sparare sui propri cittadini. Un’analisi che stride parecchio con le oltre 200 vittime civili registrate nelle regioni orientali, a raccontare di una certa tranquillità nel lanciare attacchi e colpi di mortaio. La mossa di Kiev è chiara: da un lato si cerca l’assedio finale a Donetsk, dove si sarebbe radunato il grosso delle forze dei filorussi, dall’altro si cerca una legittimità internazionale, ribadendo la propria disponibilità a negoziare. Ma ormai dovrebbe essere chiaro che la fine della guerra si avrà solo ed esclusivamente per mano militare, a meno di una sorta di resa da parte dei filorussi.

A Kiev inoltre, continuano le grandi manovre di Poroshenko che da buon businessman non vuole avere troppi intoppi in una gestione manageriale anche del potere politico.

Messo in sordina il premier Yatseniuk completamente sparito dalla scena politica, ieri il neo presidente ucraino ha provveduto ad un’altra nomina, cambiando il vertice del centro anti terrorismo dei servizi segreti ucraini, che coordina l’operazione militare contro i secessionisti filorussi nell’est del Paese: a capo della struttura è stato nominato un altro generale, Vasili Gritsak, già vice del servizio di immigrazione, che sostituisce Vasili Krutov come capo della struttura e come primo vice dei servizi segreti. Krutov aveva guidato la cosiddetta operazione anti terrorismo nell’Ucraina orientale da metà aprile.

Secondo quanto emerso da Kiev, Poroshenko avrebbe disposto altri ricambi nei servizi di sicurezza, nell’ottica di fare sempre più suo tutto quanto riguarda la gestione delle operazione nell’est del paese. Non solo perché ieri il ministro della Giustizia ucraino Pavlo Petrenko ha annunciato di aver avviato una procedura giudiziaria per bandire in Ucraina il partito comunista, accusato di sostenere i separatisti filorussi. A occuparsi del caso sarà la corte amministrativa di Kiev.

Petrenko ha dichiarato che la sua richiesta «si basa su una gran quantità di prove di attività illegali». La decisione era nell’aria: nelle scorse settimane il leader del partito comunista era stato aggredito all’uscita dal parlamento e aveva denunciato le minacce del governo di Kiev, circa una presunta disposizione per mettere fuori legge il partito. Minacce che ora sembrano definitivamente realizzarsi.

Nel frattempo tornano a farsi sentire le questioni economiche; l’Ucraina dopo la crescita zero registrata l’anno scorso, a marzo – dopo la rivolta che ha portato alla caduta del regime di Yanukovich e all’ascesa del governo di Majdan – si prevedeva un calo del Pil ucraino del 3 percento.

Il memorandum tra l’Fmi e Kiev siglato ad aprile si basava comunque già su una riduzione del Pil del 5 percento, mentre la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) stima la discesa del Pil ucraino al 7 percento.
La banca centrale prevede invece una riduzione del 6,4 percento. Rimane una situazione di disagio economico, che ormai pesa da mesi su una popolazione, specie a est, stretta tra guerra, beni alimentari i cui prezzi non fanno che salire e difficoltà a trovare medicine.