Domenica Poroshenko ha promesso che entro una settimana porterà il paese alla pace. Rimane da chiedersi con quale modalità. Nella prima mattinata di ieri è parso che l’intento del neo presidente non fosse così distante da quello dei suoi predecessori. L’esercito ucraino ha continuato a bombardare Sloviansk, il numero delle vittime non è stato ufficializzato dai filorussi, mentre Mariupol, già teatro di scontri nelle settimane precedenti, è stata attaccato ed è stata al centro di violenti combattimenti. Portare la pace, annientando il nemico potrebbe essere una mossa rischiosa da parte del nuovo presidente che del resto si è insediato con toni nazionalisti, che riguardano anche la Crimea ormai annessa alla Federazione russa.

Inoltre, benché la propaganda di Kiev prosegua ad ignorare i morti, sottolineando gli attacchi, le notizie che giungono dalle regioni orientali non danno l’esercito di Majdan granché in forma, soggiogato da defezioni e dalla strenua resistenza dei filorussi.

Non è un caso dunque se ieri, a seguito di almeno tre incontri, Kiev ha ufficializzato una sorta di accordo trilaterale, benché in nuce, tra Ucraina, Russia e Osce per un dialogo di pace. è evidente che l’unica soluzione, alternativa ad un massacro quotidiano, può essere solo una via diplomatica.

L’Osce per altro, che ha redarguito Kiev circa i bombardamenti dei giorni scorsi e che non ha apprezzato la scelta dell’oligarca presidente di mantenere la proprietà del canale televisivo Channel 5, ha fatto inoltre sapere di non aver «ristabilito la comunicazione con i quattro osservatori del team di Donetsk e con i quattro osservatori del team di Lugansk di cui ha perso i contatti rispettivamente il 26 e il 29 maggio».

Intanto le autorità di Kiev domenica sera hanno liberato due giornalisti russi fermati nella regione di Donetsk il 6 giugno con l’accusa di spionaggio. I due reporter, che lavorano per il canale televisivo del ministero della Difesa russo Zvezda, si trovano ora a Mosca. Si tratta di Andrei Sushenkov e Anton Malishev, consegnati al posto di frontiera di Nekhoteevksaal, al confine con la regione russa di Belgorod. I reporter, che sono rientrati a Mosca a bordo di un aereo del ministero della Difesa russo, hanno denunciato maltrattamenti dicendo di essere stati tenuti per due giorni «praticamente senza acqua potabile in una stanza angusta dove la temperatura arrivava a 50 gradi».

Sushenkov e Malishev erano stati fermati dalla Guardia nazionale ucraina alle porte di Sloviansk e accusati di raccogliere informazioni su un posto di blocco.

E mentre si cerca un’alternativa ai raid aerei e ai bombardamenti, per piegare definitivamente la resistenza dei «terroristi», come vengono chiamati da Kiev, filorussi, si cerca un accordo sul gas, che potrebbe essere un viatico reale verso la distensione. La soluzione viene cercata attraverso i consueti «trilaterali» con il commissario Ue all’Energia, Günther Oettinger, e i ministri russo, Aleksandr Novak, e ucraino, Yuriy Prodan. Sembra possibile un accordo, anche a seguito delle parole di Putin, che venerdì scorso in Normandia per le celebrazioni del D-Day aveva detto che Gazprom e i partner ucraini erano vicini alla firma di un accordo finale.

E un’intesa definitiva potrebbe essere vicina, tanto che prima dell’incontro politico a tre si vedranno anche l’amministratore delegato del colosso russo Gazprom, Alexey Miller, e il numero uno della compagnia ucraina Naftogaz, Andriy Kobolev. Le questioni aperte sono le solite: il prezzo del gas e i debiti accumulati da Kiev verso Mosca, con la Ue che tenta di mediare fra i due contendenti, anche per evitare interruzioni delle forniture a proprie spese.