Dopo Lugansk, tocca a Kramatorsk. Ieri è stata questa cittadina di 173mila abitanti, storico centro industriale dell’est del paese, a diventare il fulcro dell’offensiva dei militari di Kiev (nel pomeriggio sono stati segnalati almeno cinque morti, non confermati da fonti ufficiali).

Ma tra gli assalti a Lugansk e quelli a Kromatorsk c’è stata la strage di Odessa, con oltre 40 morti tra i filorussi che si erano asseragliati nel palazzo del sindacato. Non c’è chiarezza sui responsabili, ma fuori dall’edificio i miliziani neonazisti di Settore Destro, giunti in ogni punto caldo di quella che può diventare una guerra civile a tutti gli effetti, confezionavano le molotov usate poi per dare fuoco all’edificio.

E al riguardo rispunta la Ue: una nota dell’Alta rappresentante per la politica estera europea, Catherine Ashton, chiede che sulla strage di Odessa venga svolta «un’inchiesta indipendente per assicurare alla giustizia i responsabili di questi atti criminali». Catherine Ashton, ha esortato tutte le parti affinché «questa tragedia non venga utilizzata per alimentare nuove violenze». C’è da chiedersi quanto questi appelli saranno ascoltati, dato che la richiesta di un’indagine indipendente della Ue sui fatti di Majdan, non ha mai trovato un seguito.

Kiev dunque, come annunciato dal suo ministero dell’interno, prosegue l’attacco contro i separatisti, nell’ambito di un paese ormai incontrollabile. Ieri Mosca, il cui peso si è rivelato fondamentale nella liberazione degli ostaggi dell’Osce rapiti dai separatisti, ha comunicato di non avere più il controllo su quanto accade nelle regioni dell’est ucraino. I separatisti sarebbero sfuggiti di mano anche ai russi, sintomo di nuovi fattori subentrati nella crisi in corso.

I militari di Kiev, spalleggiati dagli squadroni di Settore Destro, ancora una volta utilizzati per il lavoro più sporco, proseguono nel loro obiettivo: abbattere la resistenza e consegnare al governo di Majdan un paese «pacificato» per mano militare, per le elezioni del 25 maggio. Non solo, perché il governo di Kiev sta giocando su più tavoli, compreso quello orchestato dal Fondo monetario che, informalmente, avrebbe specificato di essere disposto a scucire i soldi solo a un paese intero e non dimezzato. Il rischio però di un conflitto civile è evidente, causa anche la già annunciata impreparazione militare di Kiev, che per quanto spinga, non riesce ad avere la meglio su filorussi equipaggiati e determinati a non farsi schiacciare.

Ieri il ministro degli esteri russo ha di nuovo telefonato al suo omologo statunitense Kerry, sostenendo che l’operazione punitiva nel sud-est ucraino sta «sprofondando il paese in un conflitto fratricida». È quanto sta già accadendo, come dimostrato dai fatti di Odessa, dove per tutta la giornata di ieri sono proseguite le proteste, pur nell’ambito di quattro giorni di lutto decisi dalle istituzioni. Odessa rimarrà una ferita dirompente nell’attuale scontro tra Kiev e i filorussi; oltre 40 morti, ad ora l’evento più tragico di un confronto che vive di fiammate e pseudo soluzioni diplomatiche. Il naufragio dell’accordo di Ginevra consegna alla storia l’errore madornale di voler fare a meno dei separatisti al tavolo delle trattative, fingendo di pensare che le elezioni del 25 maggio avrebbero potuto mettere tutti d’accordo.

Non è stato così e le battaglie di Sloviansk di due giorni fa e quella di Kramatorsk di ieri lo dimostrano. Tank, uomini armati, pistole puntate, personaggi intenti a colpire chiunque, anche normali cittadini che si oppongono all’avanza dell’esercito, restituiscono la consueta immagine di ogni conflitto. Ovvero, incomprensibile, eppure così chiaro nella sua genesi, che in Ucraina ha giorni definiti, quelli della «rivolta» di Majdan, suffragata da Usa e Nato, con il colpevole e complice appoggio dell’Unione europea, incapace – quanto meno – di comprendere i rischi e le reazioni della Russia al solo accenno di un allargamento a est della Nato.

La liberazione degli ostaggi dell’Osce poteva essere un altro punto di una nuova tentata partenza, ma i commenti di Kerry non sembrano porre nella migliore condizione Mosca, che forse tutto il mondo occidentale vorrebbe in grado di intervenire, per identificare un nemico preciso. Gli Usa si sono detti «soddisfatti» della liberazione degli ispettori, ma hanno sollecitato la Russia a fare di più «per ridurre la tensione». Lo ha dichiarato il segretario di Stato Usa, John Kerry, da Kinshasa (in Congo). «Siamo molto soddisfatti che gli ispettori dell’Osce siano stati liberati oggi. È un passo avanti, ma ci sono altre cose che debbono essere fatte per far abbassare la tensione». Cosa, non viene specificato.