Tre stranieri su meno di 20 ministri nel nuovo governo di Kiev, la cui lista è stata approvata dalla Rada nella tarda serata di martedì. Vengono da Stati Uniti (Natalia Jaresko, alle Finanze; è stata AD di società di investimenti USA), Georgia (Aleksandr Kvitashvili, alla Sanità; è stato rettore dell’Università di Tbilisi e, prima, direttore del EastWest Institute—EWI a New York) e Lituania (Ajvaras Abromavichus, Sviluppo e commercio; ha lavorato al Dipartimento di Stato USA): in sostanza, tutti preparati alla scuola di Washington, per dirigere il nuovo governo atlantico di Kiev.

Chissà se nella formazione del governo avranno pesato più i suggerimenti del vicepresidente Usa Joe Biden o quelli del comandante americano delle forze Nato in Europa Philip Breedlove? In ogni caso, le ripetute visite a Kiev – quelle che non è proprio possibile far passare inosservate – degli altolocati amici americani hanno dato un’accelerata alle contrattazioni d’affari per accontentare, per un po’, tutti e cinque i partiti di destra (a questo punto, definirli nazionalisti, è quantomeno fuori luogo) entrati alla Rada con il voto del 26 ottobre. E se l’accordo per la coalizione ha avuto una gestazione lunga, almeno su un punto l’intesa era già da tempo raggiunta: l’abolizione dello status di paese fuori dai blocchi, per riprendere il percorso di adesione alla Nato. Se gli obiettivi, a parole, dei golpisti usciti da Euromajdan erano adesione alla Nato e ingresso nella Ue, sembra ora che il primo abbia avuto un’accelerazione decisiva, sulla scia delle recenti dichiarazioni del segretario generale Nato Jens Stoltenberg sulla probabile ammissione di Georgia e Ucraina.

In ogni caso, sul nuovo governo è subito caduta la tegola energetica. Ora che le cose sembravano andare a posto coi pagamenti del gas russo, il Ministro per l’Energia Vladimir Demcishin ha dovuto chiarire le cause dello spegnimento del terzo blocco alla centrale elettronucleare di Zaporozhe (la più grande d’Europa) che, dalla scorsa settimana, costringe Kiev a ridurre l’erogazione di energia elettrica. I tecnici, che escludono qualsiasi fuoriuscita radioattiva, dicono trattarsi di un semplice guasto. Più forti timori non erano fuori luogo (senza dimenticare Chernobyl): la centrale, non lontana dal Donbass, lo scorso maggio era stata presa di mira da un battaglione neonazista.

Comunque, a sostegno della lista dei ministri, hanno votato 288 deputati dei 5 partiti di «Ucraina europea». Alcuni deputati non hanno votato, per protesta contro la nuova figura del Ministro per la politica dell’informazione, che anche l’Osce vede come minaccia alla libertà d’espressione. Il replicante premier Arsenij Jatsenjuk e i Ministri degli esteri e della difesa (rispettivamente Pavel Klimkin e l’ex Capo della Guardia nazionale Stepan Poltorak) sono stati indicati da Poroshenko; gli altri ministri, su indicazione del premier. Confermato agli Interni l’ex ricercato dall’Interpol (fu estradato a suo tempo dall’Italia) Arsen Avakov, mentre un’altra straniera, la georgiana Eka Zguladze, potrebbe essere la sua vice.

Pëtr Poroshenko ha dovuto far approvare in fretta dalla Rada una legge che concedesse ai neoministri stranieri la cittadinanza ucraina e, già che c’erano, i deputati hanno conferito la cittadinanza anche ai mercenari stranieri che combattono nei battaglioni neonazisti. Ora, dato che la legge ucraina non prevede la doppia cittadinanza, per quale opteranno neoministri e mercenari? E ancora: dato che il russo non è più ammesso (nemmeno quale lingua regionale), in quale dialetto si svolgeranno le sedute del consiglio dei ministri? Colgono nel segno le parole con cui il Segretario del Pc ucraino Petr Simonenko ha caratterizzato la situazione «Il potere ha legalizzato la direzione straniera del paese». Un paese il cui governo, a dispetto delle intese sul cessate il fuoco, ha spostato ieri truppe e mezzi corazzati a ridosso del Donbass. E la crisi torna al Consiglio di sicurezza dell’Onu.