Nelle ultime settimane c’era stata una tensione calma, a Kiev. I dimostranti hanno frenato i loro impulsi, tenendo d’occhio le trattative in corso tra il presidente Viktor Yanukovich e le opposizioni parlamentari. Le forze di sicurezza non hanno ronzato nel centro della capitale. Era fragile, ma era tregua.
Ieri tutto è saltato. Bottiglie incendiarie, cariche, pestaggi e colpi d’arma da fuoco, esplosi dall’una e dall’altra parte: è stata la giornata di scontri più feroce da quando, il 21 novembre, il paese ha preso la strada della crisi. L’origine dei guai è stato il no di Yanukovich agli accordi commerciali offerti dall’Ue, orientati a rafforzare la cooperazione con Kiev e diluire di conseguenza l’influenza russa.
Ci sono stati diversi morti. C’è chi dice tre, chi cinque, chi dieci. Due sarebbero poliziotti. Centinaia i feriti. Il bollettino potrebbe aggravarsi. Nel momento in cui scriviamo le forze di sicurezza stanno intervenendo in piazza dell’Indipendenza, la spianata dove finora l’opposizione aveva tenuto i suoi raduni di massa pacifici. Il governo ne aveva intimato lo sgombero entro le sei del pomeriggio. È stata sparata acqua sui dimostranti. S’è udita a un certo punto una forte esplosione. Ci sono fiamme dappertutto e colonne viscose di fumo. Tutte le stazioni della metro sono state chiuse. Il traffico bloccato. Le cose sono due: o è la resa dei conti o una prova di forza per dare a Yanukovich un potere negoziale ancora più robusto.

Questa svolta violenta arriva dopo che lunedì le autorità avevano reso efficace una misura d’amnistia, volta a cancellare i procedimenti a carico di più di duecento esponenti di Euromaidan – così si chiama il fronte anti-Yanukovich – coinvolti negli scontri registrati tra il 27 dicembre e il 2 febbraio. In cambio, la stessa Euromaidan era tenuta a schiodarsi dai palazzi del potere occupati a Kiev e nell’ovest del paese. Solo alcuni sono stati abbandonati. Una mossa per tenere alta la pressione su Yanukovich in vista della sessione parlamentare di ieri, durante la quale l’opposizione pretendeva una discussione sulla riforma della costituzione, per limare i poteri della presidenza. È una delle richieste più incalzanti recapitate a Yanukovich, assieme alla convocazione di elezioni presidenziali anticipate, rispetto alla data del febbraio 2015.

Gli emendamenti alla legge fondamentale non sono stati messi in agenda (in ogni caso non sarebbero passati) e il campo anti-Yanukovich, come preannunciato, ha rilanciato la protesta sulle strade, dirigendosi verso il parlamento con l’intenzione di esercitare un blocco. Dopodiché è scoppiato il finimondo. Le frange radicali dei manifestati, ormai composte non più soltanto da militanti dell’estrema destra (Pravyi Sektor la sigla più agguerrita), hanno assaltato un circolo di ufficiali delle forze armate e la sede del Partito delle regioni, di cui Yanukovich è il numero uno. Le forze di sicurezza, da parte loro, non sono rimaste ferme. Ci sono state zuffe furibonde, sono volate pallottole. Poi gli agenti hanno spinto progressivamente indietro i dimostranti, fino a piazza dell’Indipendenza.
Questa evoluzione rende difficile la ricerca di una soluzione negoziata alla crisi. Yanukovich, secondo qualche analista, avrebbe pilotato la situazione verso questo esito. Finora ha concesso all’opposizione solo misure palliative (ritiro delle leggi «anti-protesta», dimissioni del primo ministro Mykola Azarov e amnistia «vincolata»). Ma su costituzione e voto anticipato non ne ha voluto sapere. In questo modo ha lasciato che il nervosismo continuasse a serpeggiare tra i rivali, lasciando buone scorte di benzina ai segmenti più intransigenti del movimento. In altre parole, si sarebbe costruito l’opzione repressiva.

Si mormora che su questo ci sia il consenso del Cremlino. Non ha stima di Yanukovich, ma sa che è l’unico che può garantire che la Russia conservi influenza in Ucraina, legandola in forma più o meno intensa all’Unione eurasiatica, progetto strategico con cui Putin vuole potenziare l’amalgama tra i paesi post-sovietici. L’annuncio dell’imminente liquidazione di una seconda rata del prestito da 15 miliardi concesso all’Ucraina lo scorso dicembre, alternativo agli accordi targati Ue e necessario a schivare lo spettro bancarotta a Kiev, può essere visto come l’incoraggiamento a riprendere il controllo della situazione. Yanukovich, oltre che a Mosca, guarda alla Crimea. È l’unica regione dove i russi, in Ucraina, costituiscono la maggioranza etnica.

In queste settimane i politici locali gli hanno chiesto di usare il pugno duro, rivendicando al contempo maggiore autonomia amministrativa. Non va dimenticato che nel ‘91, quando l’Ucraina divenne indipendente, in Crimea ci furono tensioni. Né che a Sebastopoli, importante centro della regione, è ancorata la flotta russa sul Mar Nero. Se si apre una faglia in Crimea la tenuta territoriale dell’Ucraina può essere messa a repentaglio. In tutto questo sembra che Bruxelles, che esorta Yanukovich e l’opposizione al compromesso, sostenendo però in modo tutt’altro che indiscreto la seconda, possa virare verso le sanzioni finanziarie a Yanukovich e ai suoi fedelissimi. Dipenderà da come sarà andata ieri notte e da cosa succederà nei prossimi giorni. Ma le trattative, se riprenderanno, vedranno Yanukovich in chiaro vantaggio negoziale.

Aggiornamento delle ore 9 del 19 febbraio 2014:

Dopo gli scontri della notte, i morti secondo il governo sarebbero almeno 25, inclusi 9 poliziotti. Centinaia i feriti.

Fonte: Bbc