«Ho dato l’ordine alle truppe ucraine presenti sul teatro del Donbass di non rispondere più al fuoco avversario», aveva annunciato ieri mattina Leonid Kuchma l’ex presidente ucraino nominato da Volodomyr Zelensky come coordinatore della trattativa per giungere a un accordo di pace le repubbliche autoproclamate di Lugansk e Donetsk.

Poche ore dopo Kuchma ha aggiunto alla decisione di cessare il fuoco unilaterale anche la volontà «di giungere quanto prima a togliere il blocco ferroviario e stradale che impedisce il movimento di uomini e merci esistente dal 2017» tra il Donbass e il resto dell’Ucraina. Due misure prese nel giro di poche ore che danno il segno di quanto a Kiev si voglia accelerare il confronto con Mosca su questo terreno.

Kuchma a tal fine sembra essere l’uomo giusto al posto giusto. Conosce strategie e tradizioni del Cremlino essendo stato membro del Comitato Centrale del Partito Comunista in quota Ucraina e seduto sulla poltrona ora occupata da Zelensky per 11 anni, mantenendo con saggezza il suo paese in bilico tra Mosca e il mondo occidentale.

Il Cremlino per ora, seppur non ufficialmente, ha mostrato scetticismo verso l’offensiva pacificatrice del Tridente ma rischia di avere le polveri bagnate proprio sul punto su cui da sempre Putin insiste: la partecipazione diretta dei «ribelli» alla trattativa. Kuchma, non a caso, ha aggiunto in serata una terza dichiarazione in cui afferma che la fine del blocco «prevederà inevitabilmente dei contatti con le aziende delle Repubbliche Popolari»: non si tratta di un riconoscimento delle autorità degli Stati separatisti, ma poco ci manca.

Comunque il Cremlino ha annunciato per oggi una risposta del presidente Putin nel confronto che avrà con i giornalisti al Forum economico di San Pietroburgo. Da registrare per parte russa per ora solo una intervista del ministro degli esteri russo Sergey Lavrov in cui ha rivelato che «l’ex ministro degli esteri americano John Kerry mi confessò di essere convinto che il popolo di Crimea avesse preso la propria decisione liberamente ma che ci fosse bisogno per ragioni di opportunità politica di tenere un secondo referendum».

Una dichiarazione non sconfessata dal diretto interessato in cui alcuni osservatori hanno voluto vedere una timida apertura di Mosca verso l’ipotesi di un’ulteriore consultazione.

Zelensky è comunque convinto che alla diplomazia vada aggiunta una massiccia dose di aggressività anti-russa anche perché deve difendersi dalle accuse di «tradimento» del «partito della guerra» di Poroshenko. Due giorni fa l’ex comico è volato a Bruxelles dove ha incontrato Federica Mogherini. Ha naturalmente battuto cassa visto che senza i prestiti occidentali l’Ucraina sarebbe da tempo in default e ha chiesto di imporre nuove sanzioni alla Russia.

Sulla prima richiesta la ministra degli esteri dell’Unione si è dimostrata «comprensiva» e presto arriveranno aiuti anche per la zona del Mar d’Azov, mentre sulle nuove sanzioni è rimasta sul vago. In serata poi il presidente ucraino ha incontrato Junker e soprattutto il capo della Nato Stoltenberg a cui ha chiesto nuovi sistemi di difesa contro la «minaccia russa».

Richiesta inoltrata da Zelensky anche direttamente agli americani. Il senatore statunitense Robert Portman parlando mercoledì in seduta pubblica ha informato i deputati Usa delle esigenze dell’esercito ucraino di accrescere le proprie forze militari. «Zelensky mi ha parlato del coraggio delle sue truppe, nonché della necessità di ottenere nuovi armamenti. E anche della propaganda russa lungo il confine orientale e degli sforzi per sopprimere i segnali della televisione ucraina e seminare discordia tra gli abitanti del Donbass» ha aggiunto Portman.