Scaduto l’ultimatum nei confronti dei ribelli delle regioni orientali, la situazione sembra rassenersi. Ieri il premier di Majdan Yatseniuk, si è recato nell’est del paese, con lo scopo preciso di provare a rimediare ad una situazione che da giorni è a rischio guerra civile. Yatseniuk ha promesso aperture e autonomie, cercando quindi un terreno di dialogo con i separatisti.

L’atteggiamento dell’uomo del Fondo Monetario potrebbe essere sintomo di alcuni cambiamenti sulla scena nazionale: innanzitutto gli Stati uniti potrebbero essere giunti alla conclusione che abbassare i toni potrebbe convenire, anche per salvaguardare l’abbraccio letale del Fondo monetario sul paese. C’è però l’incognita sul tempismo delle proposte di Kiev. Di sicuro la Russia ha manifestato di non avere alcun interesse o mira su quelle regioni.

A Putin interessava la Crimea e l’ha ottenuta. La soluzione prospettata da Mosca però, quella federalista, potrebbe consentire a Putin di mantenere influenza e soprattutto allontanare l’ipotesi di allargamento della Nato, dimostrando altresì come a Kiev sia stato proclamato un governo che non rappresenta tutto il paese.

L’ago della bilancia però sarà determinato dall’atteggiamento dei ribelli. Tra promesse di autonomie, anche ampie, e federalismo, con possibilità di indire referendum per l’indipendenza, esistono differenze. Quindi la proposta di Yatseniuk è sotto esame sia da parte della Russia, sia da parte delle regioni orientali ucraine e potrebbe essere una mossa per arrivare al tavolo dei negoziati con Russia, Unione europea (assente in questa fase di pre trattative) e Stati uniti, previsto per la prossima settimana.

Una parola di Mosca, di sicuro, potrebbe convincere i ribelli orientali. Il premier ucraino ha detto che il suo governo «è pronto a una riforma costituzionale che conceda maggiori poteri alle autorità locali per bilanciare i poteri centrale e delle regioni». Secondo le parole del primo ministro ad interim, i governatori locali non devono più essere nominati da Kiev (attualmente sono nominati dal presidente) e il parlamento ucraino, dovrebbe poter autorizzare referendum anche a livello regionale, non solo nazionale.

Il sindaco di Lugansk Serhiy Kravchenko ha sottolineato che i referendum regionali «devono dare voce alla popolazione locale su questioni importanti locali». Yatseniuk però ha incontrato rappresentanti degli enti locali e dell’imprenditoria, ma non dei separatisti.

Tra le persone presenti all’incontro c’era però l’uomo più ricco del paese, Rinat Akhmetov, già finanziatore del partito delle Regioni del deposto presidente Viktor Yanukovich, e che recentemente ha fatto da tramite tra le autorità centrali e gli insorti. Il premier Yatseniuk da parte sua ha assicurato che nessuno toccherà la legge del 2012 sulla lingua, che concede lo status di idioma ufficiale regionale a tutte le lingue parlate da almeno il 10% della popolazione di un determinato territorio. Il parlamento aveva deciso di abrogare la legge in questione non appena caduto Yanukovich (sul quale ieri si è espressa Mosca, negando che ci siano le condizioni per procedere ad una sua estradizione, come richiesto dal governo di Kiev), ma il presidente ad interim Oleksandr Turchynov si è poi rifiutato di firmare la controriforma.

E a proposito di riforme istituzionali e idiomi, ieri il parlamento della Crimea, la penisola recentemente annessa dalla Russia dopo un referendum locale, ha approvato all’unanimità la sua nuova costituzione che riconosce come lingue ufficiali della nuova repubblica il russo, l’ucraino e il tataro.

E mentre la Russia conferma la propria volontà di non intervenire nelle regioni dell’est del paese («non possiamo avere un tale desiderio, questo contraddice gli interessi della Federazione russa», ha spiegato il ministro degli esteri Lavrov), la Nato non sembra intenzionata a rinunciare completamente, nonostante le aperture di Yatseniuk, a potenziali interventi.

«Ci riserviamo il diritto di garantire, in caso di necessità, la difesa dei nostri alleati», ha detto a Sofia il segretario generale Anders Fogh Rasmussen. «Discuteremo nei prossimi giorni come rafforzare la nostra presenza nella zona del Mar Nero per la sicurezza collettiva dei paesi membri della Nato», ha aggiunto Rasmussen.