Chi cominciasse a occuparsi delle vicende ucraine solo oggi, dopo averle seguite per mesi sui media mainstream italiani, si troverebbe presumibilmente disorientato di fronte alle ultime dichiarazioni di politici ucraini e russi. Un mondo – all’apparenza – alla rovescia: Kiev ha annunciato la ripresa delle attività militari, dopo il cessate il fuoco. Le parole sono importanti, annunciare la «ripresa» dovrebbe significare l’esistenza di una fase di «tregua», che nella realtà non c’è mai stata. Mosca, via Putin, ovvero la summa dei mali del mondo (non a torto, per certe caratteristiche dell’autoritarismo del presidente russo) invita invece a riprendere i dialoghi di pace supportati da un reale «cessate il fuoco».

Sembra incredibile, se non fosse che da mesi Kiev non fa che bombardare le regioni orientali, nel silenzio totale, quasi fosse brutto pronunciare o scrivere la parola «guerra» o provare a sottolineare le pesanti responsabilità anche di Kiev in questo conflitto.

L’est si è difeso, quasi sicuramente con l’aiuto di milizie e armi vicine al Cremlino, e ha denunciato alcune mattanze, come quella di Odessa, cui Kiev non ha ancora dato una risposta, come per i colpi di mortaio che hanno ucciso Andrea Rocchelli e altri tre giornalisti russi (l’ultimo due giorni fa). Eppure Poroshenko, «l’uomo della pace» seconda la consueta lungimiranza dell’Unione europea, si era presentato a Bruxelles a firmare l’accordo di associazione, tronfio della sua roadmap e del suo cessate il fuoco unilaterale.

Ricevuto e accettato a malincuore anche dai filorussi, l’annuncio si è rivelato una truffa: si è continuato a sparare, uccidere, combattere. Poroshenko del resto sa bene che gli aiuti economici che aspetta, quanto li attendeva Yanukovich che però si era rivolto a Putin, possono arrivare solo ad un paese la cui sovranità non sia divisa, a rischio, in continuo stato di crisi.

Ai capitali, prestati, del Fondo monetario serve un paese integro, da succhiare, smembrare secondo consuetudini. Non va bene un paese a metà. Ma per pacificarlo Poroshenko, come tutto il governo acclamato dalla Majdan, rigorosamente e ancora al proprio posto, ha compreso che l’unica soluzione è militare. Non c’è modo di scendere ad un tavolo negoziale con chi chiede autonomia e federalismo: la parte più industriale, mineraria e fondamentale più prospera deve essere sotto il controllo totale di Kiev. «Lo chiede l’Europa» e il fondo monetario internazionale. Il neo presidente ucraino, come molti altri, può solo obbedire.

Cosa è successo dunque ieri? Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha annunciato nella notte di martedì la decisione «di non prorogare il cessate il fuoco unilaterale». «Attaccheremo» i separatisti che controllano da oltre due mesi gran parte delle regioni di Donetsk e Lugansk», ha affermato in un discorso alla nazione. Ma – ha voluto sottolineare che, specifica l’Ansa «il nostro piano di pace, in quanto strategia per l’Ucraina e il Donbass, resta in vigore».

E Kiev è disposta «a tornare al regime del cessate il fuoco in qualunque momento se verrà constatato che tutte le parti si adopereranno per attuare i punti essenziali di questo piano di pace». Poroshenko ha quindi esortato Mosca a fermare sabotatori e fornitori di armi dall’altra parte della frontiera. Il problema per Poroshenko è che l’esercito continua a sparare e uccidere. Un minibus è stato colpito da spari a Kramatorsk: 4 persone sono rimaste uccise, due erano civili. Lo ha riferito un portavoce della regione di Donetsk citato dall’agenzia Unian.

Di fronte a questa nuova escalation, una guerra a tutti gli effetti che non pare trovare una soluzione reale, è intervenuto ieri il presidente russo Putin, secondo il quale Poroshenko si è assunto la responsabilità non solo militare ma anche politica di aver scatenato azioni di guerra.