Lette sullo sfondo di un conflitto che, con i suoi più di 4.400 morti e oltre 10mila feriti, si sta trasformando in tragedia anche lontano dal fronte – secondo il Times, carenza di medicinali e cattiva alimentazione stanno favorendo gravi epidemie nel Donbass – le notizie dall’Ucraina, se non fosse per la tragedia di un popolo e per le conseguenze che possono riversarsi su un intero continente, apparirebbero quasi allucinanti.
Il G7 sta decidendo se concedere un aiuto di 4 miliardi di dollari a Kiev: nonostante i recenti 500 milioni di euro della Ue (ma il replicante premier Jatsenjuk ha valutato il costo del “vallo europeo” che sta costruendo al confine con la Russia in circa 530 milioni di dollari), Naftogas deve pagare 1,6 miliardi di dollari a Gasprom per la fine dell’anno.

Di più: stando al Financial Times, Kiev avrebbe chiesto al Fmi 15 miliardi di dollari urgentissimi (oltre i 17 già concessi in aprile) per evitare il collasso definitivo che, comunque, oltreoceano, qualche economista dà già per scontato. E nonostante Jatsenjuk abbia annunciato un taglio delle spese pubbliche del 10% per i prossimi due anni, non è detto che ciò basti per aprirgli le porte della Ue.

Il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha detto a Der Spiegel che, dell’Ucraina nella Nato, neanche a parlarne e per la Ue, Kiev ha davanti un lungo lavoro di modernizzazione «di alcune generazioni».

Washington non la pensano così e nel bilancio 2015 il Pentagono avrà 175 milioni di dollari da destinare a Ucraina e paesi baltici: ringraziando, Jatsenjuk si è detto convinto che la Rada abolirà presto lo status di paese fuori dai blocchi.

Sul fronte Kiev-Mosca, vice ministro del contestato nuovo ministero ucraino all’informazione (in quota Poroshenko) potrebbe essere un russo: il corrispondente moscovita del Los Angeles Times e collaboratore di Eco di Mosca, Sergej Lojko. Vero è che Eco di Mosca non è proprio putiniana, ma nemmeno i giornalisti russi erano trattati in maniera «ministeriale» a Kiev, ancora un paio di settimane fa.

Alla Rada c’è però anche un progetto di legge dell’ex speaker Turcinov (in quota Jatsenjuk) per considerare «organizzazioni terroristiche» le Repubbliche di Lugansk e Donetsk e ieri è stata annullata all’ultimo momento la conferenza via skype che avrebbe dovuto annunciare la data della nuova riunione del Gruppo di contatto a Minsk: nel Donbass paventano che Kiev voglia ritrarsene e i bombardamenti e concentramenti di truppe governativi registrati ieri, non fanno ben sperare.

D’altra parte, sembra che l’intelligence ucraina si appresti a «liquidare» (incolpandone poi Mosca) i tre deputati della Rada che la scorsa settimana avevano plaudito all’azione dei fondamentalisti islamici a Grozny, nel corso della quale rimasero uccisi 16 agenti. La notizia sarebbe giunta alla Duma russa, fornita da agenti ucraini, che ne hanno sottolineato l’intento provocatorio. Eppure ancora l’altro ieri il ministro degli esteri russo aveva dichiarato di considerare il Presidente Poroshenko «partner principale per la ricerca di una soluzione al conflitto nel Donbass».