Ha esplorato le zone oscure della società, le pieghe dell’animo umano e infine le fisionomie delle sue attrici. Krzysztof Kieslowski ha finito per porre quesiti non facilmente risolvibili e perfino, si direbbe, raccolto il pubblico in preghiera a ripassare i dieci comandamenti, non fosse che la sua impostazione laica era ben conosciuta e il suo umorismo lo faceva oscillare tra la meditazione, il sorriso e l’amara constatazione. La grande rassegna dedicata a lui al Palazzo delle Esposizioni di Roma (fino al 12 giugno), evento promosso dall’Istituto Polacco di Roma e dall’Azienda Speciale Palaexpo, in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale e con il sostegno del Polish Film Institute, ci ha proposto nel programma a cura di Marina Fabbri, la maratona Dekalog, (una opportuna intuizione, troppo forti le connotazioni complessive), punto di vista comune elaborato con l’avvocato di Solidarnosc, Piesiewicz.

Segue una scansione di film che ci fa andare avanti e indietro nel tempo (e quei tempi sono cambiati) nel rivedere le opere più conosciute (Tre colori, Breve film sull’uccidere) associati ai documentari che costituiscono un fondamentale decennio della creatività dell’autore. Quando è arrivata la consacrazione, il successo internazionale, Kieslowski aveva già sviluppato una solida carriera di documentarista, sconosciuta in occidente, in una cinematografia segnata dal sommo Wajda, quindi dalla «terza generazione» che la guerra non l’aveva fatta, con Zanussi a mostrare le inquietudini (e l’imborghesimento) dei giovani nel socialismo reale, oltre alla serie di outsider come Skolimowski, Munk, Polanski.

Kieslowski appartiene alla generazione successiva, dai toni – per quanto è possibile per un artista polacco – meno romantici e idealisti, più acidi e concreti, tanto da essere poi inserito, alla comparsa dei suoi primi lungometraggi tra «i registi di Solidarnosc» suoi contemporanei (Agnieszka Holland, i supercensurati Krauze e Bugajski, Kotkowski…), film che testimoniavano senza allusioni il fermento della società. Ma il suo percorso era stato diverso, i suoi primi lungometraggi completavano il percorso di un decennio di indagini sul campo e suggerivano il suo futuro: Il Caso (Przypadek dell’81, ma uscito solo nell’87 per il suo rifiuto dei tagli di censura), metteva in scena tre varianti su un unico personaggio, a ricapitolare alcuni momenti cruciali della storia del paese.                                                                                                   

Kieslowski2 (1)

L’arrivo folgorante di Amator (Il cineamatore, ’79, programmato il 4 giugno alle 21) fu spiazzante, gli elementi sociali si mescolavano agli interrogativi morali del fare cinema, vera opera spartiacque nella sua produzione, interpretato da Jerzy Stuhr il volto (con Krystyna Janda) della nuova generazione e che già aveva interpretato La tranquillità (Spokoj, ’76, venerdì 3) film tv mandato in onda quattro anni dopo perché non in sintonia con la linea dominante del «successo» mentre il protagonista esce di prigione e, abbandonato da tutti, non vuole altro che rintanarsi in pace nel suo piccolo lavoro in un cantiere.

Tutta la sua produzione documentaristica fu proposta nell’89 dal festival di Torino nel programma di Roberto Turigliatto e Marlgorzata Furdal. Diplomato alla scuola di Lodz nel ’69 senza avere una passione per il cinema, il suo scopo era conseguire la laurea per poter accedere alla scuola di teatro: ritroviamo tracce del suo apprendistato in quello che lui considerava il suo primo lungometraggio Personale (Personel,’75, 1 giugno) interpretato da Juliusz Machulski giovane attore che sarà poi alcuni anni dopo il regista campione di incassi di Vabank e Sex Mission, ambientato in un teatro d’opera in cui un ragazzino è assunto nel reparto costumi, ha grandi sogni che naufragano quando il direttore gli chiede di scrivere una lettera di delazione contro uno dei suoi amici, crudele metafora dei sogni e dello stato delle cose.

Kieslowski aveva appena fatto in tempo a frequentare Lodz prima della cacciata nel ’68 dei professori ebrei che avevano contribuito al prestigio della scuola (Toeplitz, Bissak tra gli altri) che gli avevano insegnato a cogliere il non visibile, il volto nascosto delle cose (altra fonte di ispirazione fondamentale per lui erano i registi della nova vlna cecoslovacca), i meccanismi del potere, le follie surreali della burocrazia, il fascismo che scorgeva nei comportamenti, la miserevole situazione degli impianti pubblici come si vede in L’ospedale (Szpital, ’76) in programma il 2 giugno e La fabbrica (Fabryka) il 3 giugno, introdotto da Jerzy Stuhr, una giornata di lavoro tra i metalmeccanici della Ursus (trattori) di Varsavia e il consiglio direttivo. Il film girato nel ’69 uscì solo nel ’71 smorzandone la forza: nel dicembre del 1970 le manifestazioni operaie di Gdynia, Danzica e altre città terminarono con trenta morti.

Sarà per questo che nel ’71 esce Prima della corsa, un documentario apparentemente disincantato, perfetto nelle sue indicazioni allusive (non è in programma): i meccanici e i piloti si preparano al rally di Montecarlo, ma hanno ben poche chances con la loro Fiat polacca 125, infatti si dovranno ritirare, restati fuori tempo massimo, uno sberleffo che continua, senza darlo a vedere, il discorso sulle mancanze delle imprese e gli obiettivi troppo alti per un paese in difficoltà. Ma del ’71 è anche Operai ’71: nulla alle nostre spalle (Robotnicy ’71: nic o nas bez nas, 1972) ritratto sullo stato di coscienza della classe operaia dopo gli avvenimenti del dicembre. È stato un film emblematico perché segna in qualche modo la decisione di passare alla finzione, da lui considerata fino ad allora qualcosa di futile rispetto alla realtà («il film di finzione proprio non mi passava per la testa, mi sembrava tutto inventato e quindi più stupido e del resto continuo a pensarlo ancora»).

Una decisione non dettata da motivi teorici, ma dal furto da parte della polizia di parte del girato. Si accorse che rischiava di trasformarsi in un informatore e decise di passare gradualmente ai film di finzione.
Accanto all’elemento sociale la sua attenzione al mistero dei destini è già espresso in uno dei primi documentari di impostazione del tutto originale rispetto ai lavori codificati che si realizzavano, come La fotografia (Zdjecie, ’68) – in programma martedì 7 giugno alle 21 – racconta l’indagine svolta dal regista alla ricerca degli adulti che un tempo furono i due bambini sui quattro anni fotografati con fucili in mano e cappelli da soldato in testa e infine li trovano («cominciammo a girare prima che ci aprissero la porta»). Un film a cui era particolarmente affezionato e che era convinto fosse andato perduto. A seguire Krzysztof Kieslowski Still Alive (2005) di Maria Zmarz-Koczanowska realizzato per la tv nel decennio della morte del regista, con testimonianze di colleghi e collaboratori.
Così come in un gioco moltiplicatore seguendo le storie di donne, Primo amore (giovedì 2 ore 21), Il sottopassaggio (giovedì 9), Sette donne di età diversa (domenica 12) si possono già considerare una sorta di reperage, di sopralluogo da memorizzare per i personaggi che metterà in scena più tardi dove, invece che seguire le tracce delle difficoltà di vita della società polacca, entrerà nella dinamica dei labirinti del caso.