Il poeta russo Timur Kibirov ha soggiornato a Roma per tre mesi nella primavera del 2000 presso l’American Academy in qualità di primo «fellow» del Joseph Brodsky Memorial Fellowship Fund, la fondazione costituita in America dagli amici più cari di Josif Brodskij per onorarne la memoria. La creazione di un’Accademia Russa a Roma in grado di ospitare artisti e letterati russi per soggiorni di formazione, sul modello delle tradizionali istituzioni estere, costituisce infatti uno degli ultimi progetti del poeta Premio Nobel per la letteratura nel 1987. Nonostante la sua prematura scomparsa nel 1996, grazie al finanziamento di donatori, fra cui i più famosi esponenti dell’arte russa (Michail Baryšnikov, Mstislav Rostropovic e molti altri), e all’attivo sostegno dell’American Academy e dell’Accademia di Francia (Villa Medici), la Fondazione Brodsky ha iniziato la sua attività nel 2000 e ha portato nel nostro paese i maggiori esponenti della poesia e dell’arte russa contemporanea (a Venezia, il 7 giugno, si terrà un incontro presieduto da Baryshnikov con la Fondazione stessa).

Molto noto come poeta nei circoli underground fin dal 1980, nonostante i suoi componimenti che ritraggono in modo ironico le assurdità della vita sovietica, la sua cattiveria e la sua insopportabile routine, non siano stati pubblicati fino al 1988, Timur Kibirov ha subito attratto l’attenzione degli specialisti che lo hanno fatto conoscere al lettore italiano con una scelta di poesie apparsa su riviste e antologie, un poema, Latrine (Firenze, 2008), dal titolo piuttosto insolito, e anche con la partecipazione alla cerimonia di premiazione del Premio di poesia LericiPea nel 2010 e al Festival delle Letterature di Mantova nel 2011.

Rappresentante della corrente del concettualismo moscovita, Timur Kibirov nei suoi versi indulge frequentemente allo sberleffo, al dialogo diretto con il lettore, al tono colloquiale e diretto persino quando tratta argomenti «alti». La trascuratezza ritmica, la grossolanità linguistica, l’uso di imprecazioni sono tratti caratteristici della sua opera. Servendosi dimostrativamente dei metri più usati, delle citazioni più banali in combinazione con i dettagli più riconoscibili, in particolare quelli relativi al vivere sociale, il poetà raggiunge un effetto di sconcertante sincerità. Il titolo della sua prima raccolta poetica, Luoghi comuni del 1988, cui ne sono seguite molte altre, sottolinea come l’esperienza personale sia per il poeta assolutamente unica e non riconducibile ad un ordine preciso. Ironico osservatore della realtà che lo circonda, Kibirov costruisce sul nome di Lenin e del pressochè dimenticato ultimo segretario del Pcus prima di Gorbacev, Konstantin Cernenko, una serie di associazioni a catena, interpolandole alle citazioni di canzoni popolari e proverbi. Persino le «latrine», promosse da Putin a soggetto drammaturgico con la famosa frase riferita ai terroristi ceceni («li sbudelleremo anche al cesso»), diventano un simbolo geopolitico e socioculturale attraverso il quale il poeta presenta il suo mondo. Nella sua ultima raccolta di versi, Divertissement e canzoncine greco – e cattolico-romane del 2009, il poeta affronta temi religiosi, fino allora unusuali per lui, esprime la sua posizione sul «problema etnico», su Cristo, sulla ricostruzione a tempo di record della chiesa di Cristo Salvatore, sempre con il tono ironico e dissacratorio a lui congeniale.
Dopo un silenzio durato qualche anno – nel 2010 ha pubblicato il suo primo romanzo, Lada o la gioia, storia dell’amore «felice e fedele» fra una vecchietta e un cucciolo di labrador – Kibirov è tornato alla poesia con un ciclo di sette componimenti su argomenti legati all’attualità, che faranno parte insieme ad altri in preparazione della sua prossima raccolta. In Russia è d’uso che prima della pubblicazione in volume, le opere letterarie, sia prosa che poesia, appaiano sulle pagine delle riviste, per cui il poeta ha inviato i suoi nuovi versi alla rivista con cui collabora abitualmente, che ha fama di essere «la più liberale». Accolte con entusiasmo dalla redazione, le poesie si sono fatte attendere per un tempo decisamente più lungo di quanto ci si potesse aspettare, vista la notorietà del loro autore.

Dopo qualche mese di attesa, Kibirov ha chiamato la redazione per sapere quando sarebbero state pubblicate e si è sentito rispondere: «la decisione sarà presa a giorni», come si diceva ai vecchi tempi. E come ai vecchi tempi, la sera stessa puntuale è arrivata la telefonata del direttore della rivista, uomo timoroso e pio, che ha invitato il poeta – che ha un passato da dissidente – ad eliminare dal ciclo una poesia dal titolo ironico e leggero, Favola, perché da lui ritenuta impubblicabile. Di fronte al netto rifiuto dell’autore, il direttore lo ha invitato perlomeno ad espungere alcuni riferimenti, alcune parole «forti» e soprattutto ad eliminare il verso Ricco di invidia era, ma non ricco di senno riferito al «prete di quella chiesa» facilmente identificabile nel discusso patriarca Kirill. La chiesa poi non è una qualsiasi, bensì la Cattedrale di Cristo Salvatore, costruita negli anni ’30 dell’Ottocento per celebrare la vittoria del 1812 contro Napoleone, distrutta da Stalin nel 1931 per costruire il Palazzo dei Sovjet (mai edificato), trasformata in piscina da Chrušcev dal 1960 al 1994, ricostruita da El’cyn dal 1994 al 1997 e divenuta la sede del patriarcato. La poesia di Kibirov riprende il lessico e l’intonazione della favola con un tono ironico che cresce di drammaticità nella seconda e nella terza strofa. Né manca la morale, racchiusa negli ultimi tre versi, dove il poeta contrappone allo splendore delle cupole e al suono delle campane, l’espressione «come nei tempi antichi», che evoca un passato che si sperava definitivamente sparito.

Favola
Una volta tre fanciulle,
Gran maestre a fare le monelle
di dare scandalo desiderose, in Chiesa
Comparvero, per così dire,
non per coprirsi di cenere
Ma per fare le spavalde e le cattive!
Ovvio, uscirono di senno!
Chi canta una canzonetta, chi sgambetta,
E chi la merda del Signore
a sproposito menziona!
Insomma, una vera Sodoma!
E le creanze religiose nessuna le rispetta.
Ma bisogna dire che il prete di quella chiesa
Ricco di invidia era, ma non ricco di senno.
E perciò, senza pensarci su due volte,
Scrisse un esposto al capo della polizia!
Il nostro capo della polizia
era piccolo ma ardito
E dal fare scherzi a lui, Dio ce ne liberi!
Il tutore della legge qui non fece sbagli:
Invano le suppliche e i lamenti,
Le giovani danzatrici
Sotto chiave
Per un bel po’
Ha sbattuto!
Salvato dagli sbirri devoti a Cristo
È il tempio del Signore: splendono le cupole,
Suonano le campane
Come nei tempi antichi!

«Che cos’è la poesia che non salva i popoli né le persone?», si chiede Czeslav Milosz nel suo poema The world, in cui le immagini idilliache e ironiche sono usate per andare contro ciò che sta accadendo altrove. Ci si pone la stessa domanda leggendo questi versi di Timur Kibirov, che rifiutati dalla «più liberale» rivista letteraria russa, sono apparsi il 5 aprile scorso, su internet, sul sito letterario www.stengazeta.net.

Cosa sta succedendo ora in Russia? Leggiamo che una nuova legge obbliga le Ong russe ad iscriversi in un registro che le qualifica come agenti stranieri se ricevono contributi dall’estero e che un tribunale ha negato la liberazione con la condizionale alla «Pussy Riot» Nadezda Tolonnikova, nonostante abbia già scontato metà della pena. Kibirov ha rifiutato di emendare i suoi versi e ha preferito metterli su internet ma tutta la storia lascia l’amaro in bocca. L’atteggiamento della rivista e del suo direttore svela un timore diffuso nei circoli intellettuali «liberali» che, come purtroppo è avvenuto in tristi tempi passati, preferiscono «auto censurarsi» prima di incorrere nei provvedimenti della censura. È questa l’aria che soffia ora in Russia.