La Guida suprema, Ali Khamenei, si è scagliata contro Washington, stavolta in modo insolito: per criticare le promesse mai mantenute sulla fine delle sanzioni internazionali imposte da oltre dieci anni contro Tehran. «Sulla carta gli Stati uniti hanno permesso alle banche straniere di fare accordi con l’Iran, ma in pratica stanno creando un clima di iranofobia. Se le cose vanno avanti così nessuno vorrà tornare a fare business con l’Iran», ha tuonato Khamenei. Poche settimane fa, Tehran aveva incassato in sede Opec lo stop all’accordo previsto per il congelamento dei livelli di produzione di petrolio: obiettivo essenziale per l’Iran per bilanciare i mancati incassi per la lenta fine delle sanzioni. Ma se le linee di credito bloccate nelle banche statunitensi non verranno scongelate in breve tempo, come previsto dall’accordo di Vienna con i cinque paesi del Consiglio di Sicurezza e la Germania (P5+1) dello scorso 14 luglio, l’economia iraniana non potrà mai aspirare alla ripresa. Tehran ha chiesto ripetutamente a Washington maggiori sforzi per rimuovere gli ostacoli nel settore bancario ma gli istituti di credito di mezzo mondo continuano a non poter fare business in via diretta o indiretta con Tehran a causa delle sanzioni contro il programma nucleare. Il Segretario di Stato, John Kerry, ha tuttavia smentito l’intenzione di bloccare l’attuazione dell’accordo sul nucleare in un incontro con uno tra i più attivi ed efficaci tra i negoziatori iraniani, il ministro degli Esteri, Javad Zarif, in visita a Washington.

E così in piena stagnazione economica, l’Iran è alla vigilia di una nuova campagna elettorale per i ballottaggi in 42 distretti che chiuderanno il lungo processo elettorale delle parlamentari che lo scorso febbraio hanno consegnato il Majlis ai moderati del presidente Hassan Rohani. Per il candidato riformista, Mohamed Reza Aref, dei 128 seggi rimasti vacanti almeno 40 dovranno andare ai moderati.

Ma la «sorpresa» politica di queste ore arriva dagli ultra-conservatori. L’ex presidente Mahmud Ahmadinejad sarebbe in procinto di annunciare la sua candidatura alle presidenziali del 2017, secondo i commentatori allo scopo di avvantaggiarsi dello scontro politico tra guida suprema e presidenza della Repubblica in merito alle mancate riforme economiche per preparare il suo ritorno politico.

Nonostante la campagna elettorale non si fermano le censure contro stampa e società civile. Quattro reporter di area riformista sono stati condannati tra i cinque e i dieci anni. Afarin Chitsaz, Ehsan Mazandarani, Saman Safarzai e Davud Asadi sono stati accusati di agire contro la sicurezza nazionale e diffondere propaganda contro la Repubblica islamica. I quattro erano stati arrestati lo scorso novembre. Ehsan Mazandarani, direttore del quotidiano Farhikhtegan, è stato condannato a sette anni.

Afarin Chitsaz, editorialista dello stesso giornale e Saman Safarzai, giornalista del magazine Andishey-e Puya, sono stati condannati a cinque anni. Il presidente Rohani ha criticato l’arresto dei quattro chiedendo maggiore libertà di espressione nel paese, criticando anche il dispiegamento di 7mila uomini in più da parte della polizia morale per le strade di Tehran, incaricati di verificare il rispetto delle norme vigenti in merito di abbigliamento femminile. E così anche il consolidamento dei moderati nel nuovo parlamento, che entrerà pienamente in funzione il prossimo 28 maggio, e nell’Assemblea degli Esperti, non è detto che determini maggiori aperture in politica interna e permetta la tassazione delle Fondazioni, come promesso da Rohani in campagna elettorale. Tuttavia, se gli Stati uniti continuano a resistere alle aperture iraniane in politica estera, Italia, Francia e Gran Bretagna sembrano interessate a sfruttare il nuovo corso in Iran per fare affari con gli ayatollah. L’ultimo della lista è stato il commissario Ue per l’energia, Miguel Arias Canete, che ha espresso l’interesse europeo in investimenti nel settore energetico. L’Ue ha stimato che entro il 2030 potranno essere superati i livelli di importazione di gas da Tehran rispetto al periodo precedente alle sanzioni, toccando i 35 miliardi di metri cubi.