Ciao Fouad. L’ultima traccia che mi rimane di te è la mail con la quale mi confermavi la tua partecipazione al forum sulla frontiera mediterranea in Expo dove, il 4 luglio insieme a Gad Lerner, saremmo intervenuti a discutere con la Regione Sicilia e con le altre regioni del dramma dei profughi. Perché, carsicamente, come polvere sotto il parco a tema e la movida, per noi l’Expo, come c’eravamo detti al tavolo 42 all’Hangar Bicocca per la Carta di Milano, è anche tentativo di rompere il muro dell’internazionale dell’indifferenza rispetto a fame, «guerre spezzate e molecolari», profughi, migranti e nuovi apolidi, che hanno come scenario il Mediterraneo.

Ne avevamo appena parlato per dirci che, dato il clima aspro tra le regioni, quelle a Sud frontiera aperta e quelle ad Nord frontiera chiusa, ci saremo come sempre trovati in mezzo a logiche da «comunità rancorose» sempre più forti e tentativi di «comunità aperta» sempre più deboli e in difficoltà. Non te lo dissi allora, te lo dico oggi. Ti avrei consigliato di tenere come traccia il tuo libro L’Islam spiegato ai leghisti del 2011. Ma avevamo problemi più urgenti e pratici. La tua stanchezza fisica e il come farti arrivare con il tuo piede malandato senza camminare per tutto il viale dell’esposizione. Segnali con cui combattevi da tempo, sforzandoti di continuare nel tuo essere divulgatore e testimone militante del tentativo che ti aveva trasmesso il tuo maestro Mohammed Arkoun di ritrovare e far capire gli umanisti dell’Islam.

Mi avevi consigliato come buona lettura il suo ultimo libro, La construnction humaine de l’Islam (Parigi 2012). Ci siamo conosciuti 25 anni fa ai tempi del Cnel di De Rita e della Prima Conferenza Nazionale sull’Immigrazione, rimasta prima e ultima nel nostro paese, che dopo quel timido tentativo di autocoscienza collettiva sul cambio d’epoca, ha preferito fare del tema dei migranti, sino a profughi di oggi, una bolla calda da quotare nello scontro politico. Portasti Arkoun al seminario sulle religioni che organizzammo a Venezia e ci apristi i rapporti con l’Institute du Monde Arabe di Parigi per continuare a cercare, per continuare a capire cosa veniva avanti. Poi hai continuato nella tua opera con la Marietti, piccola casa editrice genovese animata da Don Balletto, non a caso il prete che celebrò i funerali di Fabrizio De André. Assieme ne avete fatto un ponte tra le rive del Mediterraneo, cominciando con tradurre Bertrand Badie, I due stati. Società e potere in islam e occidente con la tua introduzione nel 1990. E tu, già nel 1993, scrivevi Islam e sviluppo nel Maghreb, in AAVV, L’altra metà della luna. Capire l’islam contemporaneo (Marietti). Hai poi proseguito la tua opera di divulgatore indefesso sino a toccare piani alti come la Utet e l’enciclopedia Treccani scrivendovi L’Europa vista dall’islam, in La nuova Europa, Grande Dizionario Enciclopedico, Utet, 2000 e L’islam in Italia, in Libro dell’anno 2003, Treccani, Roma, 2003.

Non ci siamo mai persi. Mantenendo come percorso da scavare assieme le insorgenze dove la comunità si fa maledetta in nome del sangue, del suolo e delle religioni. La sociologia e l’antropologia lo definiscono olismo. Io e te ne discutevamo guardando la dissolvenza della ex Yugoslavia, al dispiegarsi del rancore del Nord, come aggregante della questione settentrionale e del leghismo sino ai nazional-populismi dell’oggi. E intanto tu continuavi a scrivere, dall’altra parte del Mediterraneo, sostenendo che «sia il nazionalismo nel senso moderno della parola sia l’Islam anche nella sua variante islamista hanno mantenuto una forte contraddizione tra l’identità di gruppo e l’identità individuale». Convinti com’eravamo che nel Mediterraneo non si incontrano olisticamente due identità forti: lo scontro di civiltà, ma identità deboli in transizione drammatica tra il non più e il non ancora. Da qui l’olistico guardare indietro, al non più dalla una parte che produce esodo e profughi e dall’altra fa apparire un’Europa dell’indifferenza che ha perso il senso del tragico. Senso del tragico in te ben presente tanto da scrivere a conclusione del tuo ultimo lavoro Il jihadista della porta accanto (Piemme 2014) «Il Mediterraneo, in questa fine di 2014, sembra agonizzante. Dall’Adriatico italiano, attraverso la Croazia e la Calabria, il mare è sempre lo stesso e il caldo che brucia la terra, che fa cantare i grilli, i fiori di arancio che evaporano nel torpore, sembrano non concedersi più alla gioia e abbandonarsi a una tristezza nella notte più profonda della storia. Cosa pensare, cosa fare? L’immagine della mia infanzia, le persone conosciute, perse, in un attimo passano e le parole si arrendono ad una realtà che non si può nemmeno descrivere». Poi ti sei ripreso da questa infinita tristezza che sembrava un congedo e hai chiuso scrivendo «ritorno però all’oggetto essenziale di questo misterioso Corano, ad alcuni versetti: che sembrano dedicati al Mediterraneo agonizzante: «Se Dio avesse voluto, certo avrebbe fatto di voi una sola comunità. Ma vuol provarvi con ciò che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle buone opere. Tutti ritornerete a Dio che allora vi informerà su ciò su cui divergete» (Sura 5, Versetto 48 La Mensa).