Kevin Costner si rimette lo Steston come John Dutton, «rancher» crepuscolare del Montana alle prese con la modernità. A 63 anni l’attore (lui stesso proprietario di un ranch in Colorado) torna agli spazi del «Gig Sky» e la mitopoietica americana che ha definito la sua opera da quando indossò i panni di John Dunbar, l’ufficial dell’unione finito a ballare coi lupi….. «Se c’è da fare un film in esterni – spiega – dove magari bisogna andare a cavallo, io certo non mi tiro indietro. Detto questo il progetto in questione deve avere qualcosa in più, qualcosa di universale, che possa valicare i confini. È quello che mi ha convinto di Yellowstone in cui i personaggi sono fittizi ma lo stile di vita no. I cowboy sono ancora vivi e vegeti in America, il «ranching» è uno stile di vita ancora praticato ed è fatto ancora principalmente in sella ad un cavallo, anche se alcuni grandi ranch ora affiancano anche elicotteri e fuoristrada. Sono vite e luoghi che mi attraggono, pezzi di Eden da cui è passata la storia americana, nella nostra valle ad esempio la spedizione di Lewis e Clark.

E la storia della fiction?

Non basta dipingere una cartolina, ci vuole il dramma e la nostra storia ruota attorno ad una famiglia disfunzionale, che dopo cinque generazioni di allevamento si trova a far fronte a pressioni politiche, urbanizzazione, gli speculatori che vogliono costruire l’ennesimo campo da golf…. Poi la questione dei nativi, gli Indiani, che torna sempre e in cui giustizia non è mai stata fatta.

Come è stato lavorare con Taylor Sheridan?

Taylor mi aveva cercato tempo fa, conosce il mio lavoro ed allo stesso tempo ha sviluppato un suo stile caratteristico .Circa tre anni fa abbiamo parlato della possibilità di lavorare assieme. Ci siamo sfiorati un paio di volte, con Wind River, ad esempio, ero troppo vecchio per quella parte. Ma mi è piaciuta molto la sceneggiatura che aveva scritto e abbiamo continuato a pensarci. Yellowstone è stata l’occasione giusta.

Inoltre avete entrambi scritto film sugli Indiani ….

Credo che abbiamo entrambi cercato di ritrarre a quella realtà in modo onesto, in cui rientrano anche gli aspetti negativi, il degrado…la verità, non un’idealizzazione. Tutti e due crediamo che la verità possa intrattenere quanto una menzogna. Anzi di più. Lo impari in fretta se sei mai stato su una riserva… questa storia in particolare ha dentro il dna del West.

Esiste un nesso fra John Dutton di «Yellowstone» e John Dunbar, il protagonista di «Balla Coi Lupi»?

Quando a Dunbar chiedono perché vuole andare ad Ovest, in mezzo al nulla, risponde semplicemente «per vederlo prima che sparisca». È fra quelli sedotti dalla sua bellezza. Certo, non bisogna travisare: quella terra è stata tolta agli Indiani, su quel furto ci sono le nostre impronte – di ogni americano ed europeo sbarcato su questo continente. E c’è stato costruito sopra il mito di questo paese. In primo luogo quello di una terra senza limiti e confini «europei» dove se eri abbastanza duro e cattivo e intraprendente potevi diventare il re del tuo pezzo di terra senza dover sottostare alle monarchie e alla società che ti eri lasciato alle spalle e che ti obbligavano ad essere un cittadino di terza classe. Non qui, dove non c’era la legge e bastava arraffare. Da qui discende il nesso che lega tuttora gli uomini che si sentono a proprio agio nella natura selvaggia. Io sono uno di questi. Non prettamente un cowboy ma diciamo un montanaro, più simile agli esploratori come Lewis e Clark.

L’idea della frontiera è stata fondamentale per l’identità anche politica del paese?

Non è una notizia dire che siamo la patria della libera impresa, certo. Per lo sviluppo ha funzionato bene. Ma oggi, nella società di massa, è evidente che molta gente non ce la fa, e noi saremo giudicati per come sapremo reagire a questo fatto. Non c’entra discendere dai cowboy. Ormai, abbiamo gli occhi ben aperti e siamo in grado di vedere ciò che funziona anche in altre società moderne, non ci sono scuse.

E il cinema?

Amore, tanto amore – e un po’ di odio. Odio quello che tocca fare in questo mestiere per riuscire a fare un film. Le interviste ad esempio! Ma soprattutto l’amore, come voi giornalisti d’altronde, che dovete guardarvi un numero enorme di film. È possibile solo se li si ama. Per me è un po’ diverso perché sono lì in miniera, sempre a cercare una pepita di oro….