L’accordo sul programma nucleare tra Stati uniti e Iran è dietro l’angolo. Lo ha assicurato ieri il presidente Hassan Rohani che ha parlato di progressi significativi per la fine positiva dei colloqui che vanno avanti da due anni con i paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite e la Germania (P5+1).

Anche il Segretario di Stato Usa, John Kerry ha parlato di «progressi sostanziali». «È il momento delle decisioni difficili», ha detto Kerry, facendo presagire che l’annuncio di un’intesa finale potrebbe essere imminente. Queste dichiarazioni, mentre si susseguono gli incontri bilaterali, potrebbero aprire le porte a una sigla dell’accordo che metterebbe fine a dodici anni di ingiusto embargo contro Tehran prima della scadenza finale, stabilita per giugno, ed entro la fine del mese. Già il prossimo 26 marzo è previsto un nuovo round negoziale in Svizzera. Il presidente iraniano, il moderato Hassan Rohani ha parlato di visione comune con gli altri negoziatori che si sono riuniti ieri per ritoccare l’accordo finale che permetterebbe all’Iran di proseguire con il suo programma nucleare a scopo civile ma impedirebbe ogni sviluppo di progetti che possano favorire l’uso dell’energia nucleare per la costruzione di armi.

Le resistenze più significative per sancire la fine dell’isolamento dell’Iran, facilitando la soluzione delle principali crisi regionali, sono venute dai senatori repubblicani Usa che avevano inviato una lettera alle autorità iraniane per metterle in guardia sull’effettiva applicazione di un’eventuale fine delle sanzioni internazionali. Insieme a loro il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in un discorso non voluto dall’amministrazione Obama al Congresso Usa, aveva ancora una volta tuonato contro le conseguenze di un’intesa con Tehran; sulle stesse posizioni intransigenti si trova anche la nuova leadership saudita. Obama ha ribadito invece che si tratta di «un’occasione storica per chiudere il contenzioso pacificamente».

Gli ultra conservatori iraniani hanno più volte criticato la possibile intesa: sono loro i primi beneficiari delle sanzioni internazionali. I conservatori, vicini alla Guida suprema, Ali Khamenei, hanno chiesto invece che l’accordo venga sancito dalle Nazioni unite per evitare che Washington si rifiuti di congelare le sanzioni Usa contro Tehran che causano non pochi danni all’economia iraniana, già colpita dall’abbassamento dei prezzi del petrolio. L’ayatollah Khamenei, nel suo discorso per il Newrooz, il capodanno iraniano, ha assicurato che i colloqui in corso con la comunità internazionale riguardano solo la questione nucleare e non la crisi siriana:

Tehran è tra i principali sostenitori del presidente Bashar al-Asad. Infine, il figlio dell’ex presidente Hashemi Rafsanjani, Mehdi, è stato condannato a 15 anni di reclusione per frode e corruzione. Se la sentenza venisse confermata in appello il potentissimo tecnocrate potrebbe vedere ridimensionato il suo ruolo politico dopo la sconfitta nel voto per la nomina del nuovo presidente dell’Assemblea degli Esperti, andata nelle mani del conservatore Mohammad Yazdi.