Ci risiamo. Il mantra diplomatico riprende come niente fosse. Ad ogni occasione di incontro, dei «quattro normanni», o solo di due loro rappresentanti, come nel caso di Kerry e Lavrov a Ginevra, il refrain è sempre lo stesso: «Rispettare quanto deciso a Minsk».

E tutto sommato – questa volta – è la pura verità, almeno nelle intenzioni. Tanto la Russia, quanto gli Usa hanno ottenuto una sorta di tregua perfetta per i propri scopi. Gli unici scomodi, in questa situazione sono il popolo ucraino, che deve fare i conti con le distruzioni di un conflitto che secondo i nuovi dati dell’Onu avrebbe fatto almeno 6mila morti e il presidente Poroshenko. L’aria che tira a Kiev è pessima: popolo alla fame, neonazi per strada, irrequieti, raccontano testimoni. Si parla di possibilità di un nuovo regime change, Poroshenko lo sa e cerca di stringere i tempi.

E così ieri ha firmato un decreto attuativo dell’appello all’Onu e alla Ue per il dispiegamento di una forza di pace nell’est del paese. Lo ha riferito il sito della presidenza stessa. La decisione, presa dal consiglio per la sicurezza il 18 febbraio scorso, era stata criticata sia dai ribelli che da Mosca.

Nel frattempo l’Onu ha rilasciato i nuovi dati sugli effetti della guerra nel Donbass. A dispetto dei successivi cessate il fuoco, «oltre 6.000 vite sono state perdute in meno di un anno a causa dei combattimenti nell’Est dell’Ucraina», ha detto l’alto commissario Zeid Raad Al Hussein in un comunicato, denunciando una «spietata devastazione dei civili e infrastrutture», dove «donne, bambini, vecchi e gruppi vulnerabili sono particolarmente colpiti».

E anche la condizione delle persone rimaste nelle zone controllate da gruppi armati, ha aggiunto, è diventata «insostenibile».