Violente inondazioni stanno devastando ampie aree del Kenya a partire dalle zone più aride, dove la siccità ha portato all’erosione dei terreni e ora che arriva la pioggia l’acqua scorre senza essere assorbita e porta via con sè ogni cosa che incontra. Il bilancio provvisorio è, secondo la Croce Rossa, di almeno 100 morti e di 242.000 sfollati.

In grandi difficoltà anche la «città delle spine», il grande campo profughi di Dadaab abitato da 500 mila persone. Il centro di Muranga è stato cancellato da una frana mentre a Rongai il torrente Kandisi si è portato via un ponte affollato di persone, 11 i dispersi. Abbas Gullet, segretario generale della Croce Rossa Kenya ha lanciato un appello perché «vi siano le risorse per soccorrere le persone colpite dalla catastrofe». Morti anche migliaia di animali soprattutto nelle contee del Turkana, Lamu, Marsabit e Samburu dove la pastorizia nomade è l’unica fonte di sopravvivenza per milioni di persone. Territori già difficilmente raggiungibili in condizioni normali, ora sono off-limits .

Se la natura provoca disastri, gli uomini mostrano un lato positivo, in una sorta di inversione dei ruoli. Il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta nel suo discorso sullo Stato della nazione ha detto: «Se c’è stato qualcosa che ho detto l’anno scorso che ha ferito qualcuno, se ho danneggiato l’unità di questo paese in qualche modo, vi chiedo di perdonarmi e di unirvi a me per riparare il danno». Dopo la stretta di mano del marzo scorso e l’impegno di un cammino comune con il rivale Raila Odinga, il presidente sembra voler proseguire nell’impegno di «riparare i legami che si sono logorati durante le elezioni dell’anno scorso». Kenyatta ha poi proseguito chiedendo scusa anche «per le parole e per la rabbia» con cui si è espresso.