Un’esecuzione di ispirazione “politica” mascherata dalle ormai tanto inflazionate ragioni dell’odio etnico-religioso contro i cosiddetti «crociati», come sono definiti cristiani e non-musulmani nel gergo di certi militanti islamisti. È quanto accaduto a circa 30 chilometri da Mandera – al confine poroso del Kenya nord-orientale con la Somalia e l’Etiopia – poco prima dell’alba di sabato, su un autobus diretto a Nairobi.
Ventotto le vittime tra i circa 60 passeggeri – secondo quanto riportato dall’ispettore di polizia David Kimaiyo – di cui 19 gli uomini e 9 le donne. Fatti scendere, sdraiare per terra e trucidati con un colpo alla testa per non essere né somali né musulmani. Tre i risparmiati perché capaci di leggere i versetti del Corano.

A rivendicare l’attacco è stato il gruppo islamista somalo Al Shabaab con un comunicato inviato via email dal loro portavoce, lo sceicco Mohamud Rage: «l Mujahideen hanno effettuato con successo un’operazione vicino a Mandera questa mattina presto, che ha portato alla morte di 28 crociati, come vendetta per i crimini commessi dai crociati del Kenya contro i nostri fratelli musulmani di Mombasa».
I crimini a cui fanno riferimento gli Al-Shabaab sono gli arresti seguiti alle incursioni della polizia kenyota tra domenica e mercoledì di questa settimana a Mombasa, la seconda città più grande della costa del Kenya a maggioranza musulmana in una regione per l’80% di credo cristiano.

Musa, Sakina, Minaa e Swafaa, sono queste le quattro moschee situate nel centro della città e chiuse perché secondo le autorità sarebbero sotto il controllo di predicatori radicali legati ad Al-Shabaab e usate come base di preparazione di attentati. Armi da fuoco, granate, due bombe molotov da dieci litri, un detonatore e computer contenenti manuali di addestramento al terrorismo sarebbero tra il materiale sequestrato dalle forze di polizia durante i raid di lunedì e mercoledì.
Le persone arrestate sono 376 di cui 91 successivamente rilasciate per insufficienza di prove e 158 trattenute con l’accusa di associazione ad Al-Shabaab. Un’operazione che è stata contestata dalla gente del posto preoccupata di una radicalizzazione delle tensioni soprattutto tra i più giovani. Timori fondati, visto che alla chiusura delle moschee di Musa et Sakina lunedì sera 4 persone sono state uccise a coltellate da un gruppo di ragazzi.

«Queste operazioni sono cominciate e andranno avanti fino a quando tutti i luoghi di culto soprattutto le moschee di Mombasa non saranno liberate da terroristi e criminali» ha dichiarato Robert Kitur, capo della polizia della contea di Mombasa. «Abbiamo raccolto informazioni per un lungo periodo, ed era il momento di agire».
L’agguato di sabato rappresenta l’ultimo di una serie di attacchi che contribuiscono a mettere sotto scacco la più grande economia dell’Africa orientale colpendola soprattutto in uno dei suoi settori trainanti, quello cioè del turismo che ha conosciuto un declino crescente a partire dall’attacco nel settembre del 2013 a uno dei più prestigiosi centri commerciali di Nairobi, il Westgate Shopping Mall. Il più spettacolare (circa 67 le vittime) per le dinamica con cui fu lanciato e il terzo più grande da parte dello stesso gruppo al-qaedista separatista Al-Shabab dopo quello all’ambasciata americana a Nairobi del 1998 (più di duecento i morti) e quello del 2002 contro un hotel di proprietà israeliana e il tentativo di abbattimento di un jet israeliano.

Attacchi seguiti e inframmezzati da altri sempre più frequenti intensificatisi a partire dal 2011, in rappresaglia ai protocolli d’intesa per la creazione di una coalizione di alleanza non solo regionale del Kenya (con la connivenza cioè dei due maggiori alleati Stati Uniti e Israele) con Etiopia, Sud Sudan e Tanzania. Che fanno così fronte contro i gruppi radicali islamici legati ad al Qaeda attivi nella zona di frontiera e essenzialmente alla «Operation Linda Nchi» (Defend the Country) con cui l’esercito kenyota invase la Somalia in difesa (sedicente) degli interessi turistici della zona costiera contro gli Al-Shabab.
In realtà, una copertura a sostegno della cosiddetta «iniziativa Jubaland» per la creazione di una zona cuscinetto e una regione autonoma a salvaguardia degli interessi del Kenya nella zona di confine con la Somalia.