È una «tempesta perfetta» quella che si è scatenata nel partito laburista, sul suo scomodo leader, Jeremy Corbyn, e sul principale alleato di questi, Ken Livingstone.

Perfetta, perché sfrutta la ben nota rozzezza verbale dell’ex sindaco di Londra – grande aficionado delle controversie mediatiche – mettendola al servizio dell’ormai soverchia necessità di togliere dalle mani di «Corbyn l’alieno» la macchina del partito, prima che questi ne cambi irreversibilmente i connotati politici.

Perfetta, perché lo sbriciolamento in diretta dei vertici Tories sulla questione del quasi imminente referendum europeo aveva disperato bisogno di essere compensata da un travaglio almeno lontanamente paragonabile nelle fila del principale partito d’opposizione e perché si gioca tutta su dichiarazioni scriteriate su scivolosi argomenti.

Tanto perfetta infine, da unire tutti i giornali britannici, dai cosiddetti quality papers a tabloid già di proprietà di facoltosi ammiratori del fascismo, in un indistinto quanto roboante sdegno corale, dove genuina indignazione e miserabile calcolo politico vanno tranquillamente a braccetto.

Tutto parte dalle dichiarazioni infiammabili di una parlamentare Labour, Naz Shah, deputata per la circoscrizione di Bradford, città dello Yorkshire con una notevole presenza musulmana, la quale aveva scritto nel 2014 sul suo profilo Facebook: «Soluzione al conflitto in Palestina: trasferire Israele in America».

È stata immediatamente sospesa dalla direzione dopo essere stata sommersa da un non incomprensibile torrente di critiche, tra cui l’accusa di antisemitismo, provenienti da dentro e fuori il partito. Shah, che ha subito fatto pubblica ammenda scusandosi, di certo avrebbe fatto a meno della catastrofica difesa ex post che Ken Livingstone aveva in serbo per lei, e che ha portato a sua volta alla sua stessa sospensione.

Ai microfoni della Bbc, Livingstone ha commesso l’errore più grave in qualsiasi contraddittorio politico, per tacere in uno che ha Israele e la Palestina come contenzioso: dopo aver definito la compagna «vittima di una ben orchestrata campagna della lobby di Israele», ha tirato in ballo Hitler dicendo che «la sua politica, quando vinse le elezioni nel 1932, era di trasferire gli ebrei in Israele» quando quest’ultima, peraltro, ancora nemmeno esisteva ed evocando così la sciagurata equiparazione sionismo-nazismo.

Una richiesta in carta bollata per fregiarsi dell’accusa di antisemitismo non avrebbe potuto funzionare meglio: in mezzo alle urla, Corbyn lo ha dovuto sospendere fin quando un’indagine disciplinare interna non avrà accertato la sostanza delle accuse.

Urla fisiche, come quelle con cui il deputato labour moderato John Mann non ha potuto trattenersi dall’investire Livingstone poco dopo l’intervista, una volta certo che ci fossero non meno di cinquanta telecamere a riprenderli. Sadiq Khan, il musulmano candidato Labour alle municipali di Londra che corre contro il tory Zac Goldsmith il prossimo 5 maggio, si è immediatamente unito al coro di critiche, come anche il vice di Corbyn Tom Watson, che ha preceduto il leader nel garantire che i presunti focolai di antisemitismo nel partito saranno debellati.

Era chiaro che l’ambigua quanto deliberata confusione di antisionismo e antisemitismo resa possibile dalla retorica – troppo spesso rozza – utilizzata dalle frange radicali del Labour targato Corbyn sarebbe stata utilizzata come un randello dalle due destre che circondano il nuovo corso del partito: la destra mercatista nel suo complesso e quella della componente parlamentare, ancora sotto shock per una sconfitta nella corsa alla leadership dalla quale stenta a riprendersi.

Un simile gergo antisemitico già esisteva nel partito ed era emerso in rete ben prima dell’ascesa di Corbyn.

Ma ora capita a fagiolo per bastonarlo politicamente: attraverso le accuse a un suo sodale noto per le antiche battaglie contro i veri razzisti del British National Party e della English Defense League e dimenticando i termini apertamente razzisti usati dal governo per definire i migranti.