Una bianca finestra contrasta con la figura di Keith Jarrett, seduto in una stanza d’albergo. È il 1974, Festival jazz di Pescara: del pianista si intravede il profilo, una massa scura a contrasto con il bianco ed il grigio di gran parte della foto. L’autore è Roberto Masotti (agli albori di un’importante carriera) che aveva iniziato a riprendere il jazzista di Allentown nel 1969 e avrebbe continuato a farlo per decenni. Lo scatto pescarese è la copertina del libro di Masotti Keith Jarrett. Un ritratto (Arcana, 113 foto, volume formato 21×29; euro 35) uscito l’8 maggio scorso, data del settantesimo compleanno di Jarrett.
Ci possono essere molti modi per ripercorre la vita e l’arte di un musicista; Roberto Masotti – come scrive nelle dense pagine postfattive di «da capo» – ha scelto di «(…) osservare. Retrospettivamente. (…) Qui il percorso alterna foto di azione in prova, durante i concerti, ritratti, narrazione. Quella che scorre è la storia, basata su fotografie, che fa da base al ritratto, un ritratto, certo, quello possibile in questo momento, con questo gioco combinatorio e sequenziale». È esattamente questo che regala (e consente) al lettore ed all’appassionato il noto e affermato fotografo che ha già ritratto John Cage, Han Bennink, Miles Davis, Arvo Pärt e Demetrio Stratos.
Successione e combinazione delle foto, uso di bianco /nero e colore, formati e impaginazione propongono un ritratto che si distende nel tempo e nello spazio e, alla fine, ha l’effetto di sovrapporre come in un quadro cubista tante immagini che ne compongono una, però dinamica e cangiante. Il volume si apre con sei scatti recenti (Lucca, 2002) in cui il pianista è ripreso incorniciato in «una ristretta area d’azione». Qui si colgono, quasi scaturiscono dalle foto, l’energia del gesto, la concentrazione dell’artista, la fatica esaltante del produrre musica, insomma l’essenza del piano-solo che Jarrett cominciò a praticare dal 1973. Il libro si chiude con uno scatto a colori – collocato dopo l’indice – con un primo piano di scarpe da ginnastica che azionano la pedaliera (Venezia, 2001).

Tra questi due estremi si snodano decine di foto (1969-2010) che ritraggono il pianista dentro e fuori scena, in centri storici spesso italiani, in teatri vuoti. Evocano tutte, e a modo loro catturano, «le musiche» di Keith Jarrett e di chi con lui ha suonato (e vissuto) stagioni di alta creatività: Miles Davis, Gary Bartz, il produttore Ecm Manfred Eicher, Paul Motian, Dewey Redman, Jan Garbarek, Palle Danielsson, Jon Christensen, Gary Peacock, Jack DeJohnette, la seconda moglie Rose Anne Colavito. Alcuni degli scatti sono diventati copertine di noti album, altri continuano a rievocare «momenti» che, nella loro pressoché infinita combinazione, costituiscono il ritratto di un pianista e, indirettamente, di un fotografo, perché «non c’è, infatti, solo il soggetto fotografico, ci sei anche tu, ci sono anche i viaggi, gli spostamenti che punteggiano quell’arco di tempo rendendolo per così dire ’avventuroso’ e carico di storie e di visioni altre. Davanti a tutto, sempre, il protagonista».

luigi.onori@alice.it