Quando lo scorso 30 giugno il primo ministro britannico, David Cameron, è partito alla volta del Kazakistan, numerose sono state le esortazioni affinché sollevasse il tema della tutela dei diritti con il suo ospite Nursultan Nazarbayev. Nelle stesse ore in cui il leader conservatore incontrava l’uomo al potere nell’ex repubblica sovietica da oltre vent’anni, Vladimir Kozlov, figura di spicco dell’opposizione, doveva comparire davanti alla Corte Suprema nel processo d’appello per la condanna a sette anni e mezzo di carcere con l’accusa fumosa di aver fomentato disordini sociali. Appena un mese prima a Roma si consumava la vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva e della piccola Alua di 6 anni, costrette a un rientro forzato in Kazakistan, moglie e figlia di Mukhtar Ablyazov, oppositore di Nazarbayev in esilio proprio in Gran Bretagna, ricercato con l’accusa di appropriazione indebita e truffa. In conferenza stampa il primo ministro ha detto di aver affrontato l’argomento diritti, come chiesto tra gli altri da Human Rights Watch in un intervento sull’Independent. Per tutta risposta Nazarbayev sottolineava che il suo paese non ha bisogno di lezioni. Ma in compenso, in vista del voto del 2015, dava il proprio sostegno elettorale a Cameron, tornato a Londra assieme alla delegazioni di 33 imprenditori e uomini d’affari forte di contratti per oltre 820 milioni di euro. Il Kazakistan è considerato uno dei nuovi paesi emergenti cui guardare quando si tratta di sicurezza, energia e commercio. Cameron non è solo tra i leader mondiali a parlare di Astana partendo dal presupposto di essere nel bel mezzo di una «corsa globale per i posti di lavoro e gli investimenti». Il paese è il primo produttore al mondo di uranio. Un primato conquistato nel 2009, spiega la World Nuclear Association, quando contribuì al 28 per cento della produzione. Una percentuale in aumento nel corso degli anni, tanto da toccare il 35 per cento nel 2011. E poi c’è il petrolio. Vanta riserve per 40 miliardi di barili. Parlare di risorse naturali nella satrapia di Nazarbayev equivale in qualche modo a dire Kashagan. Proprio Cameron, ha inaugurato un impianto che servirà a lavorare il petrolio estratto dall’immenso giacimento sul Mar Caspio. A sviluppare il giacimento è un consorzio di tutti i principali colossi del settore: Eni, Total, ExxonMobil, Royal Dutch Shell. Da ultimo anche la China National Petroleum Corporation che potrebbe tenere fuori gli indiani della Videsh. Le operazioni dovrebbero partire il prossimo settembre. Ma fonti citate dalla Reuters ipotizzano possa essere tutto rinviato alla primavera del 2014. Ennesimo di una serie di ritardi che si ritiene siano dietro le dimissioni del ministro del Petrolio e del Gas, Sauat Myanbayev, sostituito dal tecnocrate Uzakbai Karabalin. Attraverso il territorio kazako passano inoltre gli approvvigionamenti delle forze Nato in Afghanistan, lungo quelle stesse vie che il prossimo anno saranno battute dal ritiro delle truppe combattenti. In un numero di giugno di Caci Analyst, rivista dedicata all’Asia centrale e al Caucaso, si ricordano i traguardi raggiunti dal 73enne Nazarbayev, sfruttando la rete di amicizie che va dalla Russia alla scelta di Tony Blair tra i suoi consiglieri. Nell’analisi si elenca la presidenza dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ottenuta nel 2010 per intercessione di Mosca. Quella stessa organizzazione il cui rappresentante per i media, Dunja Mijatovic, ha recentemente criticato la nuova legge sulla stampa. C’è il successo dell’Astana Economic Forum, inaugurato nel 2008 cui partecipano premi Nobel per l’economia e leader mondiali, nella cui ultima edizione a fine maggio, oltre alle discussioni, sono stati siglati accordi per 2,7 miliardi di dollari. C’è infine l’assegnazione alla futuristica capitale dell’Expo 2017 a scapito di Liegi, merito del tema: il futuro dell’energia. Mancano dall’analisi i rapporti di Amnesty, come quello dell’11 luglio che chiede la fine della tortura contro i prigionieri o i riferimenti alle proteste del 2011 dei lavoratori nella regione petrolifera di Mangystau, la cui repressione fece almeno 15 morti e cui seguì la stretta contro oppositori, stampa e attivisti.

*Lettera 22