Tre giorni di rivolta sono bastati a portare il Kazakhstan, considerato sino alla scorsa settimana il paese più stabile dell’Asia centrale, al limite del fallimento. Lo stato di emergenza è in vigore in molte regioni.

Internet è ancora sottoposto a un blocco e lo stesso vale per il segnale televisivo. Le notizie sono frammentarie, ma il bilancio degli eventi appare già tremendo. L’agenzia di stampa russa Ria Novosti parla di «decine di vittime» ad Almaty negli scontri avvenuti l’altra notte di fronte a palazzi dell’amministrazione pubblica. I feriti sarebbero un migliaio. Duemila e trecento persone sono agli arresti.

«CHI NON DEPORRÀ LE ARMI sarà distrutto», ha fatto sapere il ministero dell’interno con una nota ufficiale. L’impressione è che il governo desideri concedere poco spazio al compromesso. Lo dimostra anche l’appello del presidente, Kassim-Jomart Tokayev, al Trattato di sicurezza collettiva, o Csto, stipulato con altri sei paesi post sovietici per chiedere aiuti militari contro quelli che lo stesso Tokayev ha definito «terroristi addestrati all’estero». Un contingente russo è già arrivato in Kazakhstan. Si tratta di tremila uomini della 45esima brigata speciale aviotrasportata.

Della missione fanno parte, poi, cinquecento bielorussi, duecento tagichi e settanta armeni. Proprio da Erevan il premier, Nikol Pashinyan, al quale è affidato il turno di presidenza del Csto, ha chiarito i compiti del corpo internazionale: noi garantiremo l’integrità delle strutture strategiche, i kazachi penseranno all’ordine pubblico.

NEL PAESE SI TROVANO importanti giacimenti petroliferi, miniere di uranio e anche la base di lancio Baykonur, usata dal programma spaziale russo. In teoria i soldati stranieri non dovrebbero mai trovarsi faccia a faccia con i manifestanti. Difenderanno gli interessi dei loro paesi, per i quali passa necessariamente anche l’esito di questa crisi. Il responsabile della politica estera europea, Josep Borrell, ha comunque invitato la Russia a «rispettare la sovranità del Kazakhstan», paragonando l’intervento a «situazioni già viste, che andrebbero evitate». Usa e Cina mantengono per adesso un approccio più cauto, senza, però, nascondere la diffidenza nei confronti dell’operazione.

L’ORIGINE DELLA RIVOLTA che scuote il Kazakhstan e la stabilità della regione si trova nella città petrolifera di Zhanaozen, sulle coste del Caspio, già al centro nel 2011 di imponenti scontri fra operai e squadre antisommossa costati la vita a sedici persone. Da lì ha le proteste hanno raggiunto Almaty, che registra il numero più alto di vittime.

I fuochi nelle strade della città ricordano quelli accesi a Kiev durante la rivolta del 2014, ed esattamente com’è accaduto in Ucraina il timore è che organizzazioni criminali prendano il controllo della protesta e dirottino il confronto con le autorità verso interessi privati.

AD ALMATY diciotto agenti della guardia nazionale sono stati uccisi dai manifestanti. A uno di loro, secondo fonti della polizia riprese dal network Khabar-24, è stata tagliata la testa. Soltanto nella capitale, Nursultan, non ci sarebbero disordini. Tokayev in tre giorni ha rimosso il primo ministro e i vertici dell’intelligence. Con una scelta inaspettata ha assunto, poi, il comando del Consiglio di sicurezza nazionale, prima nelle mani dell’ex presidente Nursultan Nazarbayev.

Da qualche ora controlla, quindi, ufficialmente e non solo formalmente ogni organismo dello stato. Ma per adesso le sue mosse non hanno ridotto la crisi. La produzione di petrolio al giacimento di Tengiz è rallentata. I titoli di stato hanno perso il 7 per cento. Come detto, per Tokayev, la responsabilità è di «agenti stranieri».

IL NOME PIÙ DISCUSSO è quello di Muktar Ablyazov, finanziere, ex ministro dell’Economia e leader del movimento di opposizione Scelta democratica del Kazakhstan, o Qtd, da anni in Francia con lo status di rifugiato dopo avere attraversato una serie di vicende giudiziarie a metà strada fra il malaffare e la persecuzione politica, vicende che hanno riguardato per la verità anche il nostro paese: la moglie di Ablyazov, Alma Shalabaeva, è stata deportata illegalmente nel 2013 dall’Italia al Kazakhstan. Il ruolo del Qtd in questa vicenda non è del tutto chiaro.

Ma il partito aveva organizzato proteste a Zhanaozen già a metà dicembre contro i rincari dei carburanti, e ieri sui canali social di Ablyazov è comparso un video in cui l’ex oligarca Mikhail Khodorkovsky elogia i manifestanti kazachi per il ricorso alla violenza e deride quelli bielorussi per non essere riusciti a fare lo stesso. Khodorkovsky, un tempo proprietario del colosso petrolifero Yukos, è impegnato oggi in una serie di iniziative umanitarie di carattere spiccatamente politico, come l’organizzazione chiamata «Justice for journalists».