«Sono terrorizzata, sono qui perché penso che sia un mio dovere civico dirvi cosa mi è successo quando io e Brett Kavanaugh eravamo al liceo». Così è cominciata la deposizione giurata all’audizione davanti al Senato Usa di Christine Blasey Ford, la professoressa di psicologia dell’Università di Palo Alto, prima donna ad aver accusato il giudice nominato per la Corte suprema Kavanaugh di molestie sessuali e tentato stupro.

L’evento ha inchiodato gli Stati uniti ai media che in qualsiasi modo riportavano le notizie che arrivavano dalla sala di Washington dove la Commissione giudiziaria del Senato si è riunita per ascoltare la sua testimonianza, seguita da quella di Kavanaugh.

Sin dalle prime frasi Ford è sembrata una testimone credibile, dal tono gentile, la voce spesso tremante nel ricordare quell’aggressione avvenuta 36 anni fa durante una festicciola di ragazzini della ricca provincia americana. Viene descritta una scena facilmente raffigurabile: dopo aver bevuto una birra la 15enne Ford è andata in bagno al piano di sopra dove l’hanno raggiunta il 17enne Kavanaugh e il suo amico Mike Judge, ubriachi, che l’hanno spinta in una camera da letto, chiuso la porta e tentato di violentarla, non riuscendoci perché troppo ubriachi e perché sotto i vestiti lei indossava un costume intero.

Più volte alla domanda ricorrente su quale fosse il ricordo più vivido di quel pomeriggio Ford risponde con una frase che è un pugno allo stomaco: «Le risate, le loro risate alle mie spalle». Parla della vergogna, della paura di raccontare ai genitori di essere stata in una casa senza adulti a bere birra con dei ragazzi, la volontà di dimenticare e poi quel rimorso che riemergeva sotto forma di ansia, claustrofobia, difficoltà a dare fiducia a un uomo, fino ad essere verbalizzato nel 2012 durante una seduta di terapia di coppia e poi affrontato nella terapia individuale.

Ford descrive una storia tristemente familiare, frutto della cultura di «si sa come sono i ragazzi», accettata negli anni ’80, molto meno ora, nell’era del #MeToo. «Questo non è un processo alla professoressa Ford, questo è un colloquio di lavoro per il giudice Kavanaugh», ha detto la senatrice democratica Dianne Feinstein all’inizio dell’audizione ricordando la ragione per cui erano lì: decidere se nominare o meno Kavanaugh come giudice dell’istituzione al vertice del potere giudiziario Usa, ruolo che si ricopre a vita.

I repubblicani parte della commissione, tutti maschi, capendo che fosse controproducente in termini di opinione pubblica far affrontare una donna vittima di violenza solo da uomini, hanno chiamato per interrogarla la procuratrice repubblicana dell’Arizona, Rachel Mitchell, in evidente difficoltà nello screditare una teste inattaccabile, che non nasconde fragilità, dolore, umiliazione, che aveva iniziato a rendere pubblica la propria storia quando il nome di Kavanaugh era solo uno dei 5 nominabili, e che per questa decisione ha visto la propria vita e quella della famiglia stravolta.

Il testimone della violenza, Judge, richiesto dai democratici, non è stato ammesso dai repubblicani, così come l’interrogazione super partes dell’Fbi, mentre la linea di difesa di Kavanaugh, cominciata troppo tardi per essere riportata fedelmente da noi, è che Ford è stata aggredita, ma non da lui, la dottoressa lo confonde con un altro.

Mentre l’audizione proseguiva tre governatori repubblicani hanno chiesto di posticipare l’udienza di conferma di Kavanaugh e una quarta donna ha dichiarato di aver subito violenze da parte di Kavanaugh e del suo amico Judge.

Trump fino al giorno prima, durante una surreale conferenza stampa che ha tenuto all’Onu, nonostante si sia detto possibilista sul ritrattare la nomina di Kavanaugh, gli ha rinnovato la propria solidarietà: le donne, ha detto, spesso si inventano tutto, molestie, stupri, in cambio di visibilità e soldi.

Ma questa retorica si infrange contro l’immagine garbata e colta della professoressa Ford; le senatrici repubblicane Murkowski e Collins hanno già rilasciato dichiarazioni sempre più aperte nei confronti di un voto contrario alla nomina di Kavanaugh e una sempre più nutrita marcia di protesta si sta dirigendo verso la sede del Congresso Usa, a Capitol Hill.