L’uomo, non più giovane, impassibile, si veste in silenzio, chiude la valigia dall’aspetti antico, esce dalla stanza, posa la fede sul tavolo e dice alla donna che gli sta seduta davanti, sigaretta e bigodini in testa: «Me ne vado». Sono le prime sequenze del nuovo film di Aki Kaurismaki, titolo attesissimo, proiezione mattutina per la stampa strapiena, molti applausi – in Italia uscirà il 6 aprile distribuito da Cinema di Valerio De Paolis. The Other Side of Hope, L’altro lato della speranza, che è anche la prima volta in gara dell’autore finlandese finora sempre nella selezione del Forum, ritorna sulla relazione che era già al centro del precedente Miracolo a Le Havre, quella cioè tra l’Europa e i migranti che arrivano qui costretti a fuggire dolorosi vissuti di guerra, miseria, violenza. E lo fa nello stile di Kaurismaki, in quell’oscillazione che già il titolo sembra suggerire tra il mondo come è e come lo vorremmo, il «suo» mondo di regista in cui l’utopia, il fiabesco mettono a nudo con precisione i paradossi della realtà – che è poi la forza del cinema, la sua potenza politica e di consapevolezza.

È in questa «distanza» che Kaurismaki negli anni ha inventato una Finlandia fuori dal tempo, un paesaggio interiore popolato da figure stralunate, buffi sognatori, giocatori di azzardo, musicisti rock e folk al centro delle sue inquadrature limpide che arrivano all’essenza delle cose . Niente è reale ma tutto lo è, per sbattere fuori un richiedente asilo e trasformarlo in un criminale, basta decidere che il Paese da cui proviene non è pericoloso per chi lo abita, persino se la sua città è Aleppo e le bombe la martoriano in diretta televisiva. Da lì arriva Khaled (Sherwan Haji), materializzandosi sporchissimo nella notte a Helsinki con la fiducia nelle istituzioni del Paese in cui è sbarcato e la speranza di ritrovare la sorella Miriam perduta sul confine ungherese nell’ennesimo attacco della polizia.

Il marinaio che lo ha nascosto sul cargo dove era balzato per caso gli aveva detto che la Finlandia è un paese aperto, che accoglie i migranti… Però i racconti terribili che fa del suo viaggio dopo che un razzo – Isis Russia Usa Nato poco importa – ha distrutto la sua casa e ucciso la famiglia non sono sufficienti a fargli avere l’asilo politico. Khaled fugge e diviene un clandestino ma sulla sua strada si imbatte nell’uomo che ha lasciato la moglie, Wikstrom (Sakari Kuosmanen), commesso viaggiatore che ha ceduto la sua attività per rilevare un ristorante grazie a una notte di poker vincente. Il posto è assurdo, il personale totalmente inadeguato, gli affari vanno male a parte la birra.«Si beve molto quando si sta male, ancora di più se si è felici» chiosa un’amica di Wikstrom – Kati Outinen,la sempre splendida icona del regista finlandese, e anche qui come sempre Kaurismaki ritrova la sua famiglia cinematografica.

Wikstrom e Khaled si scontrano, fanno a pugni,poi il ragazzo entra in quel piccolo «altro» universo dove le cose vanno diversamente, dove esistono solidarietà, aiuto, comprensione, affetto: il «lato opposto» di istituzioni, poliziotti, politici, naziskin che brandiscono coltelli contro «i cammellieri». Gli ispettori infatti cucina e sala li hanno bocciati perché non conformi alle regole: un poster di Jimi Hendrix, un juke-box, il tentativo goffo di preparare sushi o cucina fusion per tornare a aringa e patate…

The other Side of Hope è finora il film più bello visto nel concorso berlinese, e senz’altro la scommessa ancora una volta vinta che si può parlare del presente senza cadere nei luoghi comuni e soprattutto senza mettere da parte il cinema. Kaurismaki sa magnificamente guardare il nostro tempo continuando a inventare un’immagine che anche nel confronto con un tema di «attualità» sorprende lo sguardo lievitando nel suo tocco sempre esilarante.

Senza retorica da «buone coscienze», la sua poetica cattura i paradossi del presente con umorismo, comicità, sentimento. Non ci sono tante spiegazioni se non che da qualche parte esistono delle persone che si aiutano come possono. Sono scelte piccole, prive di enfasi, che pure diventano gesti di grande rottura rispetto all’indifferenza, alle assurdità di leggi, confini, trattati politici, interessi dei potenti. Lì, nella sala scassata del ristorante La pinta d’oro una rete di «solidarietà» diventa possibile, anche se questo non significa che tutto il male sparisca. È un primo gesto, qualcosa da cui ripartire: l’altro lato di una speranza che è quasi come una rivoluzione.