Katerina è sola. Kat’a, giovane e infelice moglie del mercante Tichon Kabanov ci viene presentata sola fin dal principio, nel vasto, freddo palcoscenico della Felsenreitschule di Salisburgo. Una lunga striscia grigia, immagine sinistra del Volga, che alla fine dell’opera inghiotte la ragazza restituendone solo un vestitino inzuppato d’acqua. Nella Kat’a Kabanova di Janácek andata in scena a Salisburgo il 7 agosto per la direzione di Jakub Hruša e la regia di Barrie Kosky il villaggio non ha né case, né tetti, né alberi, né finestre. La massa immobile e ostile degli abitanti, muti e disposti di spalle, chiude in grandi file gli spazi plumbei della disgraziata vita matrimoniale di Kat’a, dell’oppressione familiare della Kabanicha, dell’adulterio con Boris, della sua solitudine e morte.

UNA SORTA di Quarto stato in negativo creato dallo scenografo Rufus Didwiszus e illuminato da Franck Evin, un labirinto soffocante richiamato alla frenesia vitale solo nella scena della tempesta. Pur in un contesto così spoglio la natura, onnipresente nel racconto di Janacek, traspare dalle luci, dal fascino delle pareti rocciose della Felsenreitschule e dal gigantesco velario che scandisce i tre atti, con i suoi alberi perduti nella nebbia: è il sogno della gioventù di Katerina, quel canto libero di uccellini che apre lo spettacolo prima dell’attacco della musica. L’allestimento in più momenti ricorda, con maggiore spessore tragico ma minori dettagli introspettivi, quello magnifico che Richard Jones ha proposto a Londra e poi all’Opera di Roma lo scorso gennaio. Anche la protagonista è la stessa, il soprano americano Corinne Winters: la sua figura esile e carica di energia incarna alla perfezione gli slanci e i tormenti di Kat’a, al pari della voce, diventata anche più luminosa e sicura. Accanto a lei il Boris sventato e robusto di David Butt Philipp, succube dello zio e delle convenzioni, che alla fine abbandona la giovane al suo destino.

SOLO LA COPPIA Varvara – Kudrjaš, la raggiante Jarmila Balážová e lo spigliato Benjamin Hulett sembra sfuggire alla cappa mortifera, insieme all’allegro Kuligin di Michael Mofidian. Pur mantenendo costantemente alta la tensione drammatica Jakub Hruša e i Wiener Philharmoniker dipanano la complessa partitura di Janácek esaltandone soprattutto il portato lirico, che infiamma la scena di apertura di Kat’a con Varvara e il duetto d’amore con Boris. Se qualche trasparenza va perduta e si smussa qualche angolo del nervoso incedere ritmico del racconto si esalta l’umanità profondamente tragica della figura di Kat’a, che si staglia in solitudine dinanzi alla massa grigia e muta dei borghesi conformisti. E sola Corinne Winters trionfa alla fine nell’applauso del pubblico, esteso poi a tutti gli altri in una lunga ovazione.