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Kasselakis, l’outsider che viene dagli Usa nel nome della modernità

Kasselakis, l’outsider che viene dagli Usa nel nome della modernitàStefanos Kasselakis – Ansa

Syriza Il businessman planato sulle primarie è in testa di nove punti. Ha presentato un programma di stampo manageriale, retto da una idea generica di «efficientamento», e si è sottratto al confronto politico diretto con i compagni di partito

Pubblicato circa un anno faEdizione del 24 settembre 2023

La retorica dei media e dell’opinione pubblica occidentale sui Balcani in generale e sulla Grecia in particolare – Paese che di solito gli europei non conoscono se non attraverso le isolette dipinte di bianco e celeste dove si recano in vacanza – ruota quasi sempre attorno alla litania dello Stato in trasformazione, che deve diventare «moderno». Inaspettatamente, le primarie di Syriza sono state invase da tale retorica. La candidatura di Stefanos Kasselakis ha sconquassato un partito ferito dalla sconfitta elettorale che aveva mandato Alexis Tsipras a villeggiare in California. Kasselakis ha avuto gioco facile nell’impadronirsi di una compiacente scena mediatica, al grido di battaglia del tutto impolitico «portiamo la Grecia nella modernità».

Syriza – il cui corpaccione tende alla autoconservazione, ma questo non è un fatto greco: accade ovunque, in tutte le associazioni, politiche e non – ha vinto, forse ricordarlo adesso non è superfluo, proponendo una credibile alternativa al centro-sinistra ellenico, e ha prevalso proprio sulla sconfitta del modello tutt’altro che «moderno» del Pasok, richiamandosi direttamente, anche se non solo, alla cultura del marxismo-leninismo: se non sono state tranciate in fretta e furia in occasione delle primarie, le radici del partito dovrebbe essere ancora quelle.

Kasselakis ha fatto irruzione ignorando questa differenza. Ha presentato un programma di stampo manageriale, retto da una idea generica di «efficientamento», e, quando è stato sollecitato un suo parere, si è rifiutato di esprimersi su diverse questioni politiche specifiche. Ha detto che, come negli Usa, anche la Grecia dovrebbe avere un moderno partito democratico; che i greci meritano una Grecia moderna; e che ci vuole, per inverare questa modernità, un Syriza moderno.

Dalla settimana prossima molti commentatori in occidente saluteranno con favore la modernità della probabile investitura di Kasselakis, del quale però a tutt’oggi sappiamo solo che: è cresciuto e vissuto negli Stati Uniti, figlio di una dentista e di un imprenditore; ha prestato manodopera intellettuale come operatore finanziario presso Goldman Sachs, per anni; è diventato businessman a sua volta, nel settore navale statunitense (osiamo la parola armatore? Qualche settimana fa un noto armatore accompagnato dal suo guardaspalle ha aggredito allo stadio un giornalista, colpevole di avere scritto articoli a lui non graditi: ecco un buon esempio di armatore ellenico).

È moderno savoir faire, o soltanto vigliacco tatticismo, negarsi al confronto politico diretto con i propri compagni di partito? È quanto ha scelto di fare Kasselakis nel corso della campagna per le primarie. È moderno aver espresso il proprio apprezzamento politico e la stima personale per il capo della destra, quando si candidava a guidare Nea Democratia, per poi proporsi di capitanare l’altro partito, quello della sinistra? Nero su bianco, è quanto ha espresso Kasselakis nei confronti dell’attuale premier Kyriakos Mitsotakis – colui che ha appena fatto approvare una delle leggi sul mercato del lavoro più disumane mai viste in Europa. E da ultimo, è moderno dichiarare che nella propria visione della Grecia «i figli dei pescatori di Volos potranno prendere il mio posto»? Cosa dovrebbero desiderare, costoro? Diventare affaristi in una banca di investimenti? O armatori fieramente ellenici? Perché i lavoratori della Tessaglia, martoriati dalle calamità naturali e dal dilettantismo del governo, dovrebbero invidiare un narcisista del Massachusetts che pensa a se stesso come alla incarnazione del «sogno americano», la retorica più vecchia che ci sia?

Ecco, nella impossibilità di fare processi politici a un uomo del quale bisogna ammettere che non si conoscono bene le idee, è forse il momento di sollevare una riflessione sul significato di questa assai invocata modernità: se sia un valore in sé, o se piuttosto non sia stata, in più di un caso, la parola a soffietto dentro cui occultare le mire predatorie del neoliberismo di ultima generazione. Uno strumento che magari si può esportare nei paesi «arretrati»: quanto è stato fatto con la democrazia, con risultati incerti, come il manifesto non si è mai stancato di testimoniare.

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