Se in Afghanistan non si è ancora conclusa la guerra con i talebani, di conflitto ne è appena iniziato un’altro: quello che da l’altro ieri, quando la lista dei 27 candidati alla presidenza è stata resa pubblica, è ufficialmente scoppiato per garantirsi la poltrona più importante. Hamid Karzai, presidente tre volte e che non può correre, ha sei mesi per fare in modo che il “suo” candidato venga eletto. È sul come che ci si interroga. In ballo ci sono parecchi dossier: entro questi sei mesi bisognerà definire il quadro del ritiro delle truppe Nato (non proprio tutte) nel 2014 e soprattutto i rapporti con gli alleati dopo quella data.

Proprio la Nato è stata uno dei punti toccati in un’intervista rilasciata da Karzai alla Bbc in cui il presidente ci è andato pesante. «Sul fronte della sicurezza l’intero esercizio della Nato è stato connotato dall’aver causato all’Afghanistan un sacco di sofferenza, un mucchio di perdite di vite umane e nessun guadagno perché il Paese non è sicuro». La Nato, per il presidente afgano, ha sbagliato tattica e strategia, concentrandosi sui villaggi afgani anziché sui santuari della guerriglia in Pakistan. Non male come arrivederci o addio all’Alleanza atlantica.

Per ora la Nato sembra far da parafulmine. La situazione è delicata e in ballo c’è ancora l’accordo di sicurezza bilaterale (Bsa) con Washington, che deve definire ruolo e permanenza dei soldati americani (ancora 68mila) e il destino delle basi. Marie Harf, vice portavoce del Dipartimento di Stato Usa, ha detto lunedì che le cose stanno marciando e anche a Kabul si dicono certi che tutto andrà bene, ma l’argomento resta molto delicato, specie in campagna elettorale. Tra l’altro il Bsa dovrebbe essere ratificato da una Loya Jirga (grande assemblea). È uno dei grossi temi assieme al rapporto con i talebani. Alla Bbc Karzai ha detto che «sono afgani… possono lavorare nel governo… sono i benvenuti… ma perché ciò avvenga devono partecipare alle elezioni». Un vecchio mantra.

Elezioni. Il tema è bollente e non solo per i talebani. Tanto per cominciare, nonostante Karzai abbia promesso pubblicamente che non ci saranno ingerenze esterne e interne e che i soldi del governo non andranno ad alcun candidato, tra questi c’è suo fratello Qayum, il che fa salire il tasso di sospetto. Inoltre, il governatore della provincia di Balkh, Atta Muhammad Noor, ha detto al canale Tolo che il suo partito – Jamiat-e-islami – ha ricevuto offerte, anche dal presidente, per ottenere sostegno per i suoi favoriti: avrebbero promesso soldi e la carica di primo vice presidente senza far nomi ma con la raccomandazione di una rosa: da Ashraf Ghani a Zalmai Rassoul (ministro degli Esteri) al contestatissimo ex signore della guerra Abdul Rasul Sayyaf. La sua candidatura ha già sollevato un vespaio e preoccupazioni nella comunità internazionale, cui ieri si è rivolto il Congresso nazionale afgano, associazione di politologi, analisti e attivisti: la esortano a bloccare chi ha violato i diritti umani impedendo candidature sporche di sangue.

Il nome di Sayyaf non viene fatto ma è chiaro che il bersaglio è lui in compagnia del generale Dostum, l’ex macellaio di Mazar candidato come vice di Ghani. Che Karzai li sostenga, seppur indirettamente, non è una bella notizia. I due ex leader mujaheddin sono accusati di pesanti violazioni dei diritti umani durante la guerra civile. Ma sono uomini potenti e pieni di ottime relazioni (che Ghani e Rassoul non hanno).