Alle sei pomeridiane di ieri le urne pachistane, aperte dalla mattina per eleggere i deputati dell’Assemblea nazionale (la Camera bassa del Pakistan) hanno chiuso i battenti dando luogo al conteggio dei voti espressi da una larga fetta degli oltre cento milioni di aventi diritto.

Ma la giornata del voto, come si temeva nonostante il forte dispiegamento di soldati e poliziotti, è stata macchiata dal sangue come accade spesso in questo grande ma disgraziato Paese. Succede a Quetta quando aprono i seggi.

Nella capitale del Belucistan, provincia riottosa del confine occidentale e che ha già pagato un altissimo tributo di sangue in campagna elettorale, un kamikaze si fa strada tra la gente che va a votare. Ma viene intercettato e si fa esplodere fuori dal seggio: uccide oltre trenta persone e altrettante ne ferisce. Qualche ora dopo, tramite l’agenzia Amaq, il sedicente Stato Islamico rivendica.

La giornata trascorre poi con episodi minori (ma anche con vittime e feriti) che vedono al lavoro poliziotti (450mila) e soldati (370mila). Scattano le manette, altrove si spara ma poi il voto si svolge nella «calma» sospesa che ha caratterizzato la vigilia, mentre gli adepti di al Baghdadi preparavano la strage.

Forse gli stessi che a metà luglio hanno firmato la strage sempre in Belucistan dove in un solo giorno hanno ucciso quasi 150 persone che seguivano le mosse di un partito autonomista moderato in ascesa.

Perché, viene da chiedersi, proprio lì, tutto sommato provincia marginale al confine con Iran e Afghanistan? Lì sono forti autonomismo e secessionismo, la criminalità organizzata ha buone basi, la guerriglia secessionista ha i suoi santuari. Lì intingono la penna i servizi segreti di molti Paesi, quelli indiani in primis.

Il Belucistan è sia una provincia marginale – povera e ai confini del mondo pachistano propriamente detto concentrato su Punjab e Sindh – sia un luogo strategico. Non è solo la porta d’accesso all’Iran sciita e non è solo il luogo che i talebani afghani hanno eletto a domicilio nella città «afghana» di Quetta dove ha sede la shura più importante, il Consiglio politico guidato da mullah Akhundzada, leader dei talebani e che a fatica governa il disomogeneo movimento dei turbanti armati. Il Belucistan è anche il luogo del porto di Gwadar, nato con soldi cinesi per portare gas e petrolio dal Golfo – o meglio dall’Iran – alle assetate industrie di Pakistan, India e ovviamente della Cina.

Con tutti quegli occhi addosso, il Belucistan è un posto difficile nel quale si aggiungono tensioni etnico-religiose. È Quetta la località dove gli Hazara afghani (minoranza sciita vessata in patria) scelgono di andare quando decidono di lasciare una patria che non li protegge e tentare il grande salto verso l’Europa.

Ed è a Quetta che i gruppi settari pachistani, non estranei ai circuiti di finanziamento mediorientali, fanno strage di sciiti colpendo una comunità di paria per religione e tratti somatici (turco mongoli).

Ed è ancora il Belucistan la regione dove i maneggi della Lega Nawaz, il partito di centrodestra dominante che in questi giorni è alla prova del fuoco, ha perso consensi in favore di un nuovo partito beluci nato proprio per dissidi interni al partito (a sua volta diviso in due fazioni nazionali): il Baluchistan Awami Party, così duramente colpito durante la campagna elettorale.

Dietro all’estremismo islamico radicale si muovono da sempre padrini molto poco religiosi e che in passato hanno usato gruppi settari e radicali per fini politici interni. È così anche adesso? Comunque si è votato e tra poco si saprà chi ha vinto la corsa.