Un attacco kamikaze unico nel suo genere torna a scuotere il nord del Mali, che si presumeva “pacificato” dall’intervento francese prima e dalla missione Onu poi. È avvenuto all’alba di ieri nei pressi di Tabankort, nella regione di Gao. Obiettivo, una postazione del Coordinamento dei movimenti dell’Azawad (Cma), federazione di combattenti indipendentisti tuareg e arabi dominata dal Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla); bilancio, almeno 13 morti e un numero imprecisato di feriti.

L’attacco è opera della milizia lealista Gatia (Gruppo di autodifesa tuareg Imghad e alleati), che controlla la strategica città di Tabankort, a metà strada tra Gao e la roccaforte dei ribelli tuareg, Kidal. Il Gatia, nato per contrastare l’Mnla nel maggio 2014, appoggia il potere centrale di Bamako e ha alterato gli equilibri nella regione. Ne fanno parte una frazione filo-Bamako del Movimento arabo dell’Azawad (Maa), le milizie tuareg del clan Imghad e quelle di etnia songhaï del Coordinamento dei movimenti e del Fronte patriottico di resistenza (Cm-Fpr), per un totale di circa mille uomini. La natura inedita di quest’ultimo episodio deriva dal fatto che mai si erano verificati attacchi suicidi a opera del Gatia. Le modalità fanno piuttosto pensare a infiltrazioni jihadiste o a nuove, inquietanti alleanze. Tra le vittime, riferisce il Cma, ci sono sette degli assalitori e in particolare tre kamikaze: i due che si sono fatti esplodere e un terzo ucciso prima che potesse azionare il detonatore.

Un pick up dell'Mnla
Un pick up dell’Mnla

È l’ultimo atto di un’escalation che sta investendo tutta la regione di Gao e coinvolge, oltre alle varie milizie armate, la forza multinazionale che partecipa alla missione Onu (Minusma, con circa 9 mila uomini sul terreno) e ovviamente la popolazione civile. Lo scorso 20 gennaio un elicottero olandese ha colpito un veicolo dell’Mnla (per «legittima difesa», dice una nota della Minusma), provocando sette morti, venti feriti e la conseguente reazione indignata dei ribelli, che accusano i caschi blu di essere tutt’altro che neutrali. Ma il mandato della missione Onu è chiaramente di sostegno al governo centrale e il Gatia è al momento un alleato prezioso per Bamako, l’unica forza in grado di togliere le castagne dal fuoco all’esercito regolare nella regione.

Gli olandesi invece partecipano all’operazione Minusma con 480 uomini, quattro elicotteri d’assalto Apache e tre elicotteri Chinook per il trasporto truppe. Il giorno dopo l’attacco, la protesta è andata in scena a Kidal, un centinaio di miglia più a nord, dove una folla di sostenitori dell’Mnla composta soprattutto da donne e bambini ha circondato il locale aeroporto controllato dai «peacekeepers». I quali dopo aver tentato di disperdere i manifestanti sparando colpi in aria hanno abbandonato le loro postazioni. Tende, generatori e altro materiale custodito nell’area dello scalo sono state date alle fiamme.

Pochi giorni fa, ancora, sono morti due manifestanti di segno opposto – ma sempre per mano dei caschi blu – negli scontri scoppiati intorno alla base Onu di Gao. La protesta era esplosa dopo che erano circolate voci di un piano per la creazione di una zona cuscinetto proprio nella zona di Tabankort, cosa che secondo alcuni finirebbe per favorire i tuareg del Cma. Il portavoce della Minusma, Olivier Salgado, si è giustificato sostenendo che la base era sotto assedio. Nel lancio di pietre e bottiglie molotov da parte dei manifestanti sono rimasti feriti due impiegati dell’Onu. Un’inchiesta è stata aperta sull’accaduto.

La crisi in Mali è esplosa nel 2012 con l’offensiva delle milizie qaediste, inizialmente alleate con l’Mnla, che ha strappato al controllo del governo di Bamako gli immensi territori del nord. La Francia è intervenuta nel gennaio 2013 con l’Operazione Serval, a cui è subentrata nell’agosto 2014 l’Operazione Barkhane dell’Onu.