In copertina Kamasi Washington sfoggia la chioma leonina e un abito luccicante e geometrico come la divisa di un esploratore cosmico. In un video registrato dal vivo alla BBC la cantante Patrice Quinn incrocia i polsi come le guerriere del Wakanda di Black Panther. Se oggi la cultura afroamericana è tanto importante per come si mostra quanto per quello che dice è inutile inarcare il sopracciglio. Bisogna vedere e ascoltare. Le coreografie di Beyoncé, le sparatorie nel video This Is America di Childish Gambino, gli inginocchiamenti di Colin Kaepernick valgono tanto quanto gli scritti di Margo Jefferson e Ta-Nehisi Coates per la ridefinizione dell’identità contemporanea degli afroamericani. E anche i dischi di Kamasi Washington.

Atteso e temuto al tempo stesso, il nuovo lavoro del sassofonista californiano che ha fatto discutere gli addetti ai lavori come non accadeva da tempo non si discosta troppo dal precedente The Epic. Il doppio Heaven and Earth snocciola la medesima miscela di soul jazz, cavalcate sassofonistiche, scenografici fondali di cori e orchestra. Il brano scelto per fare da apripista è il tema della colonna sonora di un film molto popolare del 1972: Fist of Fury. In Italia è stato tradotto come Dalla Cina con furore e fu la pellicola con la quale iniziò la moda delle arti marziali in Occidente tramite il suo massimo eroe Bruce Lee. Filmacci disse qualcuno. Per qualche milione di adolescenti in tutto il mondo: un mito.

Kamasi Washington si rivela assai intelligente nel ripescare quel brano, aggiungere alcune liriche militanti e farne un inno di lotta. Come sempre la cultura afroamericana succhia da immaginario pop, cinema di genere, fumetti. Tutto il progetto ha una precisa natura oratoria e responsoriale, rafforzata da testi di carattere spirituale e politico scritti dallo stesso leader. Sedici brani di cui ben quattordici originali. Accantonato l’enciclopedismo del precedente lavoro Kamasi si concentra su una miscela di ottimismo soul alla Stevie Wonder, elastiche ritmiche latineggianti e funk, moderati richiami space-jazz, e ottiene un risultato più omogeneo. Alcuni episodi sono riusciti altri meno, in particolare potrebbe evitare certe lungaggini, ma complessivamente si tratta di un lavoro maturo e coerente, pienamente inserito nel continuum afroamericano dove il rapporto con la tradizione musicale, politica e religiosa è essenziale.