Rassicurare. È questo il primo obiettivo di Kamala Harris nel suo viaggio nel Sud-Est asiatico. Le immagini del ritiro degli Stati uniti dall’Afghanistan e la contestuale presa di potere dei talebani non lascia tranquilli alleati, partner o presunti tali di Washington nemmeno in Asia orientale. La preoccupazione diffusa è che, come a Kabul, gli Usa possano decidere di abbandonare un paese o una regione non ritenuti più strategicamente indispensabili.

IL TOUR DI HARRIS tra Singapore e Vietnam cela l’intenzione dell’amministrazione Biden di tornare almeno parzialmente ai tempi di Barack Obama, che proprio sul Sud-Est aveva incardinato parte del suo Pivot to Asia, programma volto a contenere l’ascesa della Cina.

Ma in mezzo ci sono stati la disattenta (quantomeno al Sud-Est) amministrazione Trump, lo straripamento della guerra commerciale in una contesa totale e la pandemia da Covid-19, che ha in qualche modo ulteriormente legato frammenti della regione a Pechino, qui molto attiva con la rimodulazione in chiave sanitaria della Via della Seta.

Impossibile dunque tornare ai toni soffusi di obamiana memoria, come già dimostrato dall’approccio alla Cina di Biden. L’intenzione di Harris è soprattutto quella di dare garanzie. Da Singapore ha promesso un «impegno duraturo» degli Stati uniti in Asia, manifestando la volontà di «rafforzare una visione condivisa di un Indo-Pacifico libero e aperto».

«PRENDIAMO SUL SERIO il ruolo da leader globale», ha detto la vicepresidente, che in conferenza stampa col premier Lee Hsien Loong non ha attaccato esplicitamente la Cina, contrariamente a quanto fatto nelle loro missioni asiatiche da Antony Blinken e Lloyd Austin. Ciò dimostra indirettamente la necessità di bilanciamento di Singapore e in generale dei paesi dell’area Asean. Lee ha sottolineato che «la percezione dell’impegno degli Stati uniti nella regione» sarà «influenzata» dal modo in cui daranno la prova di un «impegno a lungo termine».

Il programma di Harris nella città-stato includeva anche una visita alla base navale di Changi e un incontro con i marinai statunitensi della nave da guerra Uss Tulsa. Oggi lo spostamento in Vietnam, dove dialogherà con i massimi esponenti del governo locale e presenzierà alla cerimonia di apertura della sede regionale del Centro Usa per la prevenzione e il controllo delle malattie. Da Hanoi parteciperà anche a una riunione virtuale dell’Asean sull’azione di contrasto al coronavirus.

SINGAPORE E VIETNAM sono due paesi importanti nello scacchiere del Sud-Est asiatico. Il primo è un centro economico, finanziario e tecnologico fondamentale, la cui importanza regionale e globale è in aumento dopo la stretta di Pechino su Hong Kong. Il secondo è invece il paese più deciso nel difendere le proprie rivendicazioni sul mar Cinese meridionale, che lo vedono contrapposto alla Cina. Argomento sul quale sia Trump sia Biden stanno oltrepassando il consueto aplomb diplomatico per appoggiare le posizioni di tutti i paesi Asean coinvolti in dispute territoriali con il rivale cinese.

I TENTATIVI DI ARRUOLAMENTO sono però finora andati a vuoto, anche perché l’interesse principale degli attori regionali è quello di non essere costretti a scegliere da che parte stare. Washington è un fondamentale alleato per difesa e sicurezza, ma la ben più vicina Pechino resta un partner economico ineludibile. Le diverse sfumature all’interno dei paesi Asean rendono tra l’altro complicato un approccio univoco alla regione. Lo dimostra la recente visita in Cambogia di Wendy Sherman, la vice di Blinken a cui non è stato consentito pieno accesso alla base navale di Ream, che Washington venga in qualche modo utilizzata anche da forze militari cinesi.

NELLE ULTIME SETTIMANE, gli Usa hanno messo a segno un colpo importante con la conferma di uno degli accordi militari in essere con le Filippine, che il presidente Rodrigo Duterte aveva più volte minacciato di cancellare. Ma dopo la caduta di Kabul le rassicurazioni di Harris e in generale dell’amministrazione Biden dovranno essere ancora più convincenti.