Il mercato di Mahane Yehuda a Gerusalemme Ovest è uno spettacolo di colori, con i suoi banchi colmi di frutta, pesci, formaggi, dolci di ogni tipo. E’ una festa permanente degli ebrei mizrahim, mediorientali. Qui l’arabo non è una lingua sconosciuta, anzi, accompagna spesso l’ebraico, specie quando i commercianti perdono le staffe. Mahane Yehuda è sempre stata considerata una roccaforte del Likud, il partito di destra guidato del premier Benyamin Netanyahu. Raramente nei suoi vicoli è spirato il vento di sinistra. Ed il leader di “Campo Sionista”, il laburista Yitzhak Herzog, sa che da queste parti il 17 marzo racimolerà pochi voti. Non andrà molto meglio al suo avversario Netanyahu. «Questa volta non voterò per Bibi (Netanyahu), ha deluso tante persone come me. Il mio voto andrà a Moshe Kahlon – ci dice Yair Atbul, mentre sistema sui banchi mele e pere – Lui capisce i nostri problemi, sa che le tasse ci stanno ammazzando. In Israele tutto costa tantissimo. Il mio grossista, ad esempio, mi vende la frutta a un costo esagerato e io poi ci guadagno pochissimo, perchè se alzo troppo i prezzi la gente non compra. E come le pago le tasse?».

 

Se Moshe Kahlon rappresenti la soluzione giusta per i tanti Yair Atbul, è difficile prevederlo. Certo è che quest’uomo politico israeliano, sconosciuto fuori dal paese, potrebbe rivelarsi una delle cause principali della possibile sconfitta di Netanyahu e diventare l’ago della bilancia per la formazione di qualsiasi coalizione di governo. Ex ministro delle telecomunicazioni, nato 55 anni fa dalle parti di Hedera, con un passato da pescatore, considerato un politico onesto, vicino ai problemi delle classi sociali più svantaggiate, Kahlon ha abbandonato il Likud in polemica con Netanyahu e la sua politica economica liberista. Poi ha fondato un suo partito, Kalanu, di centrodestra aperto ai temi sociali. I sondaggi gli assegnano tra gli 8 e i 10 seggi – grazie a voti sottratti in gran parte al Likud – che potranno decidere il destino di Herzog e di Netanyahu, che saranno costretti a contenderselo a suon di promesse. Lui lo sa bene. «Bibi, Buji (Herzog)? Decideremo noi a quale governo partecipare! E’ un’occasione grossa, non ci sfuggirà. Vogliamo un governo sociale, che metta fine alle ingiustizie», proclama Kahlon durante i comizi di Kalanu che spesso si svolgono nelle sale per matrimoni e feste di compleanno che frequentano le famiglie più svantaggiate.

 

Per un numero crescente di israeliani, quelli che vivono da emarginati nelle periferie urbane, Kahlon è una specie di eroe, un Robin Hood in versione locale. Deve la sua fama alla battaglia, vittoriosa, che portò avanti qualche anno fa quando impose alle compagnie di telefonia mobile di abbassare le tariffe. Denuncia le grandi concentrazioni di capitali, le banche e le compagnie di assicurazione. Il suo obiettivo dichiarato è il ministero delle finanze. Un incarico che fino a qualche mese fa occupava la rivelazione delle elezioni del 2013, il giornalista televisivo Yair Lapid. Anch’egli, sull’onda delle proteste degli indignados, denunciava l’alto costo della vita, la mancanza di case per i giovani e i salari troppo bassi. Lapid però si faceva portavoce degli interessi della classe media di Tel Aviv e dei centri abitati costieri, era il riferimento degli ebrei ashkenaziti di origine europea, timorosi di essere travolti dall’aumento del costo della vita e degli alloggi. Kahlon invece è amato soprattutto dai mizrahim. Per loro è l’ennesimo sogno dell’uomo del popolo che arriva a mettere le mani sulle leve del potere che in Israele, a quasi 70 anni dalla sua creazione, rimangono in gran parte nelle mani degli ashkenaziti. Kahlon però era e resta un uomo della destra in politica estera. Non respinge le trattative con i palestinesi ma sostiene l’assenza di interlocutori arabi con il quale negoziare, incluso il presidente dell’Anp Abu Mazen.