Il caschetto e il paradenti sono nello rimasti nello spogliatoio, mentre il football comincia a scaldare i muscoli in vista della nuova stagione. Ma Colin Kaepernick, l’uomo copertina dello sport americano da un anno, si ritrova senza squadra nella National Football League. Anche se è un campione, anche se è un modello per una generazione, anche se la sua maglietta, l’ultima, indossata per anni ai San Francisco 49ers è una delle più vendute nella Lega, e per alcune settimane è stata anche la più gettonata negli store americani.

 

 

Ventinove anni, dato in adozione alla nascita a una famiglia bianca del Wisconsin dalla madre, bianca (il padre, nero, già si era dileguato durante la gravidanza ), Kaepernick per una buona fetta della comunità afroamericana è un eroe quasi quanto Tommie Smith e John Carlos, che alle Olimpiadi del ’68 si presentarono sul podio dei 200 metri col pugno alzato stretto in un guanto nero. Lui nell’agosto 2016, prima dell’inizio di una gara ufficiale, dava un colpo al cuore dell’orgoglio americano mettendosi in ginocchio durante l’esecuzione dell’inno che precede ogni gara di Nfl, Nba, del campionato nazionale di baseball (Mlb) e di hockey (Nhl).

 

 

Era un gesto politico contro i continui, efferati episodi di violenza della polizia nei confronti degli african american, con cui il campione prendeva le parti del movimento Black Lives Matter, che da cinque anni protesta contro la brutalità delle forze dell’ordine. Una lotta che durava da mesi, trovando sponde in altri sport, nella Nba e nel calcio (la Mls), ancora nella Nfl (i Seattle Seahawks per tutta la stagione hanno ascoltato l’inno abbracciati).

 

 

Il flusso di adesioni al messaggio di Kaepernick ha invaso la cronaca politica, tra l’endorsement dell’ex presidente Barack Obama, le critiche del giudice della Corte Suprema Usa, Ruth Ginsburg e lo scarso apprezzamento del Pentagono. Sino all’editto del neopresidente Donald Trump, che poco dopo aver sistemato i bagagli alla Casa Bianca faceva sapere al campione che se proprio gli Stati Uniti non gli piacevano poteva cambiare Paese.

 

 

Un pacchetto di opinioni pesanti che hanno portato la Nfl ad aver paura di Kaepernick, con le franchigie che trovano le scuse più varie per non firmarlo. I New York Giants hanno fatto sapere di un’ondata di lettere di tifosi che minacciavano di boicottare la stagione se lo avessero ingaggiato. La sentenza sull’ex giocatore dei San Francisco 49ers è arrivata in realtà a marzo, sul Washington Post, a firma del giornalista Kevin Blackistone: «La Nfl ha efficacemente fatto fuori Kaepernick». E da allora non è avvenuto nulla che smentisse il fiume di inchiostro finito sul quotidiano della capitale americana. Ancora senza un team. Come se Cristiano Ronaldo, che ha segnato l’ultimo anno del calcio internazionale, oppure Lebron James, per restare nel microcosmo a stelle e strisce, non trovasse un team che crede in lui. Ma il campo, i lanci per i touchdown c’entrano ben poco.