Esperti e editorialisti sauditi a metà mese commentavano con favore il prossimo arrivo nel paese del premier iracheno Mustafa Kadhimi, al suo primo tour all’estero dalla nomina il 7 maggio. Non era sfuggita la scelta di Kadhimi di andare prima a Riyadh e poi a Tehran, a conferma dell’avvicinamento che i leader iracheno assegna allo sviluppo dei rapporti con l’Arabia saudita. Con amici ai vertici della casa reale Saud e forte di buoni rapporti con l’Amministrazione Usa, Kadhimi è visto dai sauditi come l’uomo in grado di allontanare l’Iraq dall’Iran, spezzando il cordone ombelicale che dall’invasione anglo-americana dell’Iraq tiene unite Baghdah e Tehran. E circolavano voci di Kadhimi «mediatore» tra Arabia saudita e Iran. Poi è saltato tutto, per il ricovero improvviso in ospedale del re saudita Salman. La visita a Riyadh avverrà a metà agosto. Ma al premier iracheno forse non è dispiaciuto dover rovesciare il programma.

 

Chiamato a dare risposte ai bisogni più urgenti degli iracheni che da mesi, con la pandemia di coronavirus, manifestano contro disoccupazione, malgoverno e confessionalismo, Kadhimi si è reso conto che raffreddare i rapporti con Tehran, come gli chiedono Washington e Riyadh, non è semplice. Non solo per le pressioni dell’Iran che nell’Iraq vede un asset centrale per le sue strategie regionali e per aggirare le sanzioni Usa. I legami commerciali ed energetici tra i due paesi sono fondamentali, come quelli politici e sociali. In Iran Kadhimi ha ottenuto due contratti nel settore dell’energia elettrica che riguardano la riparazione dei danni alla rete di distribuzione a Najaf e Karbala e la riparazione di trasformatori in tutto l’Iraq. Mai come in questo momento il tema della corrente elettrica è sulla bocca di tutti gli iracheni alle prese con la mancanza di energia mentre affrontano temperature altissime, fino a 50 gradi.

 

Kadhimi sa che l’Iran può dare risposte immediate ad alcuni dei problemi del suo paese e che il progetto appoggiato dagli Stati uniti per il collegamento delle reti elettriche dell’Iraq e delle petromonarchie  resta vago e potrebbe prendere anni. Tehran punta inoltre ad aumentare il valore degli scambi commerciali con Baghdad dai nove miliardi di dollari dello scorso anno a venti miliardi. Nei primi tre mesi del 2020, l’Iran ha esportato verso l’Iraq 5 milioni di tonnellate di merci per 1,45 miliardi di dollari. Appare evidente quanto, con le sanzioni Usa in atto, l’Iraq sia fondamentale per l’economia iraniana. E aumentano inoltre le pressioni delle milizie sciite e dei partiti iracheni legati a Tehran su Kadhimi al quale la guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, ha detto che il suo paese si aspetta l’espulsione dall’Iraq dei soldati statunitensi. Il premier iracheno ha assicurato che il suo paese «non consentirà alcuna minaccia contro l’Iran dal suolo iracheno» e ribadito che «l’Iraq non dimenticherà mai il sostegno dell’Iran». Più di tutto Kadhimi ha compreso che, come i suoi predecessori, rischia di finire stritolato nella morsa di Usa e Iran.