Conobbi Naw Tawng a Pechino, e lavorai con lui per due anni. Dopo qualche mese mi rivelò la sua identità, ma mai il suo vero nome. Mi disse che se l’avessero trovato nell’ex capitale burmese, a Yangon, riconoscendolo come un Kachin, l’avrebbero arrestato, torturato e probabilmente ucciso.

Mi parlò di sua moglie e sua figlia piccola a migliaia di chilometri da lui. Voleva che il mondo conoscesse la loro tragedia e mi invitò a testimoniarla con i miei occhi. Sarei entrato sotto copertura come docente di inglese per bambini, e illegalmente, tramite un corridoio nel sudest dello Yunnan cinese. Laisa, la capitale Kachin sta proprio li, sul confine, cosa che in un clima di cessate il fuoco avrebbe dovuto scoraggiare ogni tipo di azione militare nell’area. Purtroppo però, pochi giorni prima della partenza, l’esercito birmano bombardò Laisa, trucidando 23 suoi colleghi e stuprando e uccidendo delle insegnanti ancora adolescenti. Mi impedì di partire con lui. Era il 2014, e da allora la situazione non ha fatto altro che peggiorare.

OGGI I VILLAGGI KACHIN vengono rasi al suolo, usando come scudi umani migliaia di civili. L’Onu stima che i rifugiati siano oltre 100mila e Naw racconta siano facile preda di trafficanti di esseri umani, droga e pietre preziose. Sulla lotta Kachin e lo stato burmese ho parlato con il generale Gun Maw, seconda carica dello Stato e Vice della Kachin Independence Organization (Kio). Nonostante la nuova costituzione, il Myanmar è ancora lontano dal definirsi democratico. La Carta rivendica la libera espressione, ma utilizza un «linguaggio restrittivo che contravviene gli standard internazionali».

I GIORNALISTI SUBISCONO ancora incidenti mortali, ogni protesta è repressa e la censura domina la propaganda. «La stampa nazionale ci ritrae spesso come terroristi» racconta Naw, riflettendo su come l’esercito nazionale sfrutti tortura e stupro come armi demoralizzatrici.
«Ufficialmente cerchiamo di negoziare con il governo per la convivenza, ma il 99% di noi vuole l’indipendenza. Non ci sentiamo al sicuro, soprattutto oltre i nostri confini». Tuttavia, non tutti gli attacchi alle minoranze giungono dal governo. Anche Amnesty e Onu hanno documentato violazioni da parte loro, come l’addestramento «per lo più volontario» di bambini soldato, seppur non coinvolti al fronte.

Un processo avviato negli anni ’60 con la quota «uno per famiglia«, di cui la gran parte tra i 15 e i 17anni. Accuse negate dal Kio, per il quale «è vietato arruolare minori». «Non siamo in grado di frenare tutti gli abusi» spiega il generale, «le violenze sono documentate e cooperiamo con molte organizzazioni».

UNO DEI PIÙ GRANDI OSTACOLI governativi alle Ong è pero legato all’accesso e trasporto di aiuti umanitari. «È difficile stare negli standard internazionali in tali condizioni, facciamo del nostro meglio, ma necessitiamo di più supporto».

Nonostante l’Onu abbia sollecitato un processo di pace, gli scontri si intensificano. Per il generale questo accade «perché invece di rinegoziare si fa pressione sulle minoranze perché accettino accordi prestabiliti. L’esercito darebbe la vita per la Costituzione del 2008», mentre per i Kachin l’impossibilità di accettarla è il motivo per cui i gruppi etnici non sono rappresentati in Parlamento, nonostante le minoranze collaborino su più fronti, controllino metà del territorio birmano e costituiscano un terzo della popolazione. Un dato in rapido calo a causa degli scontri e della progressiva «burmizzazione».

«PER LA COSTITUZIONE il 25% dei seggi è sempre destinato ai militari e la sua modifica richiede più del 75% del parlamento». In altre parole spiega Naw «è quasi impossibile modificarla senza i voti dell’esercito».

«L’unico modo per noi di firmare un accordo governativo» aggiunge «consiste nel coinvolgere tutti le minoranze armate nel processo di pace, e avviare la negoziazione solo dopo il cessate il fuoco. Un processo dove nostri delegati genuini (e non burattini del governo) possano prendere parte».
Non solo per i Kachin, anche per molti osservatori sembra che la riforma democratica sia stata fatta ad arte per convincere l’occidente a ritrarre le sanzioni e investire in un paese in bancarotta, avulso da decenni di regime militare, economia pianificata, isolamento e disastri naturali. «L’unica cosa che preme alla giunta militare è mostrare al mondo che un processo democratico esiste» afferma il generale. «Abbiamo firmato molti accordi, ma non vengono rispettati.

NEL 2014, a Yangon ne firmammo uno che prevedeva, oltre al cessate il fuoco, un impegno governativo al riconoscimento della nostra autonomia» aggiunge Naw, rivelando come nei giorni seguenti il governo abbia ritrattato in privato la propria volontà di rispettare i patti: «lo fecero solo per impressionare la comunità internazionale, evitare sanzioni e incentivare investimenti stranieri, per poi incolpare le minoranze del fallimento delle trattative e perpetrare la pulizia etnica». Nonostante la Lega sia oggi l’unica alternativa democratica, la loro leader ha subito diverse critiche da Ong e dalla stessa Malala Yousafzai, anch’essa Nobel per la Pace.

Questo perché «Aung San si focalizza sulla democrazia» spiega il generale «preoccupandosi più della firma di un accordo di pace che della reale risoluzione della questione etnica a livello costituzionale».

ANCHE LE PAROLE DI NAW nei confronti della Nobel sono dure: «Quello che il mondo vede come simbolo di speranza per il Myanmar, Aung San Suu Kyi, non lo è più per noi. Lei non fa parte delle minoranze, ne sembra avere reali progetti per i gruppi etnici. Purtroppo, è un burattino nelle mani del governo, strumentalizzata come simbolo di un illusorio progresso democratico».
Nel mentre i governi stranieri giocano il ruolo di mediatori, ma per Naw «è difficile dire se stiano aiutando noi o preservando i propri interessi. Le Ong e gli enti Onu sono gli unici a supportarci senza doppi fini». La Cina confina con i Kachin e vanta interessi geopolitici ed economici nell’area. Le risorse naturali, la diga Myitstone e la posizione strategica al confine la rendono appetibile per Pechino, a tal punto da infrangere il suo mantra della non-interferenza.

LA CINA è stata il primo mediatore tra minoranza e governo, con un doppio gioco che ha spesso esacerbato il conflitto, supportando sia l’esercito nazionale e sia i ribelli. Una questione delicata per cui lo stesso generale ha evitato di fornirci dettagli. Il suo messaggio al mondo è un invito al sostegno delle minoranze e della negoziazione democratica «in nome della verità».
Quello di Naw è invece un appello senza mezza termini: «Il governo birmano manipola la comunità internazionale perché non subisce più le stesse sanzioni per gli abusi umanitari, ma continua a perpetrarli, biasimandoci di fronte alle istituzioni. Non potrà mai esserci pace senza garanzie. Per noi l’unico modo è il dialogo politico, per loro è il tentativo di sterminarci. Chi pensate siano i veri terroristi?»