Nessuno dovrebbe dubitare ormai che i 20 anni di guerra al terrore dell’America in Afghanistan sono una sconfitta morale oltre che militare dell’intero cosiddetto mondo libero. I fatti di queste ore portano nuova luce sul tragico war game in corso, tra genti accalcate alla disperata ricerca di un aiuto straniero per sfuggire all’inferno, come le vittime dell’attentato di domenica lungo il canale di scolo attorno all’aeroporto di Kabul. Genti che avevano addosso l’etichetta non occultabile di “collaborazionisti” filo americani. Non solo l’Isis K che li ha colpiti con un attacco suicida, ma anche l’ala dura dei Talebani al potere da ferragosto li vedeva così, dei traditori e infedeli, in mezzo ai quali però hanno trovato la morte anche 28 di loro.

Nei giorni precedenti l’attentato i loro portavoce a parole hanno promesso un’amnistia a chi lavoro’  con gli infedeli, ma li hanno lasciati maltrattare dal Network Haqqani, tra i più famigerati eserciti del terrore islamico delegati ora a fornire paradossalmente la sicurezza della capitale e dell’aeroporto. Li guida Sirajuddin, figlio del fondatore che fu amico stretto di Bin Laden e da 4 anni uno dei due vice (l’altro è Mullah Yaqoob, figlio del semicieco Omar che diede vita ai talebani) del riservatissimo Haibatullah Akhundzada, emiro potenziale di Kabul, l’uomo che alla morte di Bin Laden ottenne l’obbedienza dal nuovo capo di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri.

Se risulteranno false le voci di una sua malattia, Haibatullah entrerà in scena presto a guidare il Consiglio della nuova Jihad diverso – a parole – da quello che governò il primo Emirato tra il 96 e il 2001, quando l’attuale “Leader dei credenti” opero’ nel Dipartimento per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio che ordinava lapidazioni e fucilazioni negli stadi, mentre Mullah Baradar, mediatore di Doha e papabile presidente del nuovo stato islamico, era vice ministro della Difesa.

I cosiddetti Neo-talebani di Haibatullah e Baradar dicono di aver capito che i tempi sono cambiati anche per l’Islam, e che il mondo non è più lo stesso del 1996 e nemmeno quello del 600 d.c., come vorrebbero gli oltranzisti sunniti dell’Is. Anche i loro alleati Haqqani, interconnessi ad AlQaeda e sostenuti a lungo dal Pakistan, hanno deciso di tentare un’apertura dopo aver impedito per decenni l’educazione delle donne e sparso terrore come quando in un solo giorno del 2017 fecero strage di 150 civili con un camion bomba nelle strade di Kabul, oggi da loro presidiate. Anas Haqqani, fratellastro minore del 30enne capo del Network Sirajuddin – che ha ancora formalmente 10 milioni di dollari di taglia sulla testa – sta perfino guidando le perlustrazioni per vedere se nel prossimo governo dell’Emirato possono entrare civili ed ex politici “compromessi” ma pentiti, come l’ex presidente corrotto Hamid Karzai al quale è ironicamente dedicato l’aeroporto dell’inferno.

Haqqani sono anche molti dei soldati che vanno in giro per Kabul nelle uniformi degli alleati Nato con le lunghe barbe sotto gli elmetti e un fucile M4 al braccio. E’ stata un’altra immagine scioccante per l’opinione pubblica americana sconvolta dal caotico esodo di connazionali e collaboratori afghani, nonché dalle bugie e dall’impotenza di Joe Biden, che pure sapeva della bomba di Isis K destinata a fare strage anche di marines. “I nostri eroi” li chamerà quasi tra lacrime.

L’attacco di Nangarhar col drone che sabato scorso avrebbe ucciso due presunti “pianificatori” dell’attentato di domenica è stato un ben magro bottino di guerra offerto da Biden all’America furiosa per gli sprechi di questi anni con i soldi dei taxpayer. Ma il giorno dopo quando un drone ha ucciso per errore in un quartiere di Kabul sei bambini assieme ad altri 4 civili, Washington e il comando alleato Centcom hanno perfino tentato di negare che ci fossero state vittime innocenti.

Gia Il 13 aprile 2017 Donald Trump sganciò contro i militanti Isis di Nangarhar la “Madre di tutte le bombe”, il più potente ordigno non nucleare al mondo composto di 11 diversi esplosivi. Secondo i suoi generali l’impatto sbriciolò i cunicoli dove si nascondevano i combattenti uccidendone – dissero – un terzo. Aggiunsero anche che nell’ultimo anno grazie ai droni la “Coalizione” aveva ripreso all’Isis “due terzi del territorio”. Nessun accenno agli effetti collaterali sulla popolazione civile, ma furono i talebani, condannando la superbomba, a profetizzarne gli effetti: “Lascerà un impatto materiale e psicologico sulla nostra gente”, dissero. Infatti, dopo aver lanciato il gioiello bellico costato 300 milioni di dollari, Nangarhar è tornata una roccaforte dell’Isis K, o ramo Khorasan sorto nello spirito del Califfato siriano-iracheno di al Baghdadi. Negli ultimi giorni perfino un potente Mullah talebano di questa regione è passato all’Isis, come avevano fatto dopo Doha altri militanti contrari ai compromessi dell’Emirato con l’America.

E’ ironico pensare che anche il drone assassino del Califfo, un nemico dichiarato di AlQaeda e dei suoi alleati afghani, anziché eliminare il problema lo ha ricreato altrove, forse ancora più pericolosamente. Come Trump, anche l’attuale leader del “mondo libero”, l’uomo che ha scalzato il capo dei proud talib boys, ha dimostrato miopia di visione e scarsa intelligence, prima negando che il governo di Kabul sarebbe caduto pur avendolo tenuto volutamente fuori dagli accordi di Doha, poi vantando la presunta vittoria dell’aver severamente degradato Al Qaeda”. Nella realtà “degradando” gli eredi di Bin Laden che sostengono i talebani, l’America non solo non ha eliminato in 20 anni la pianta del terrore dell’11 settembre, ma ha rafforzato la radice dell’odio che germoglia ora da un’altra parte, con l’Isis e tutte le “ali dure” del mondo islamico stimolate a emulare senza gli stessi compromessi i fratelli-nemici talebani.

E’ probabile che nonostante la Waterloo di Kabul Biden oserà chiedere ai contribuenti altri sacrifici, perché la prossima Jihad mondiale richiederà ancora più soldi se sarà come sembra una variante del virus afghano. Con grande soddisfazione dei produttori dell’unico vaccino anti-terrorismo noto all’America, il fucile d-assalto M4.