Dal sogno della rivoluzione diventato incubo a quello della restaurazione fatta in casa. In un infuocato sabato di metà agosto prima «lo Juventus Football Club comunica che Maurizio Sarri è stato sollevato dal suo incarico di allenatore della prima squadra» e poi a sera annuncia: «sarà Andrea Pirlo il nuovo allenatore». Il comandante è stato licenziato, nemmeno una settimana dopo la festa per la conquista dello scudetto, a dodici ore dalla mesta eliminazione agli ottavi di Champions per mano del modesto Lione. Il lìder maximo della rivoluzione pallonara è stato spodestato, solo un anno dopo avere conquistato il Palazzo d’Inverno. O meglio, solo un anno dopo essere stato conquistato dal Palazzo d’Inverno.

IL CAMPIONE DEL MONDO, l’uomo che sembra sempre sul punto di addormentarsi, il calciatore sopraffino capace di addormentare il gioco e di risvegliarlo all’improvviso, un palmarès incredibile da giocatore e mai una presenza in panchina da allenatore, nemmeno nelle giovanili, ne prende il posto. È più una restaurazione termidoriana che una rivoluzione copernicana.

FIGLIO DI UN OPERAIO dell’Italsider di Bagnoli, Maurizio Sarri abbandona il posto fisso in banca e allena per anni in una lunghissima gavetta luoghi periferici, squadre dai nomi dickensiani. È il romanzo di formazione, lo stato alchemico in cui la materia si dissolve, in attesa dei successivi. Poi l’Empoli, il Napoli, la certificazione di essere un allenatore di prima fascia, lo stato in cui la sostanza si purifica e sublima. A Napoli l’alchimista Maurizio Sarri compie il suo capolavoro: sguardo basso, obliquo, tuta da ginnastica, sigaretta in bocca, una squadra che gioca magnificamente: zona, pressing, possesso, le catene laterali degli amminoacidi, i corridoi per i tagli d’artista.

DIVENTA IL COMANDANTE, suo malgrado. Rappresenta la resistenza al potere delle squadre a strisce, che sono più brutte ma vincono solo perché sono più ricche e potenti. Lui alimenta la leggenda, con reiterate dichiarazioni ad hoc contro il potere, contro il nemico per eccellenza, contro lo Juventus Football Club. Un anno al Chelsea e poi il tentativo di prendere il Palazzo d’Inverno, di conquistare il potere. Ma come sempre accade finisce che è il potere che ti prende, che ti conquista. Dopo il Nigredo e l’Albedo arriva lo stadio finale della trasformazione: il Rubedo in cui la materia si ricompone fissa, fallisce. L’alchimia non esiste, il potere la brama, la seduce e poi la distrugge «sollevandola dall’incarico». Il sogno è un incubo.

ALLA JUVENTUS tiene sempre lo sguardo basso ma deve sostituire la sigaretta con il mozzicone, la tuta da ginnastica con un’anonima polo a maniche lunghe, i calciatori che lo seguono a occhi chiusi con dei campioni affermati che gli dicono come, quanto e con chi vogliono giocare, la squadra che gioca magnificamente con un gruppo di individualità che vuole e deve solo vincere. Venerdì sera dopo il Lione ammette a denti stretti: «riempire l’area di rigore avversaria è sempre stato il nostro problema, tutto l’anno». Non è riuscito a farlo con il suo Higuain, non ha potuto farlo con il loro Cristiano Ronaldo. Lo Juventus Football Club gioca male e Maurizio Sarri rimane prigioniero della leggenda che ha creato con la sua bravura, è vittima del personaggio che gli hanno costruito attorno, suo malgrado. Si lamenta della squadra, dei dirigenti, della stampa, degli arbitri, del calendario. Si lamenta del potere, senza nemmeno rendersi conto che è lui il potere.

AL NETTO DI UNO SCUDETTO vinto – che come dice il presidente Andrea Agnelli «rimane sull’albo d’oro senza asterischi a seguire come conquistato a fatica, o conquistato giocando male» – i dodici mesi di Maurizio Sarri alla Juve si trasfigurano nei quarantaquattro giorni di Brian Clough al Leeds United. Come il tecnico inglese, anche Maurizio Sarri non ha saputo resistere all’ossessione di fare la rivoluzione nel cuore del potere. E come in una tragedia greca entrambi sono stati sconfitti dalla loro hybris e dalle lusinghe del coro che li ha adulati e innalzati aspettandone la caduta, per renderla più fragorosa.

IL FAVORITO per la panchina sembrava Simone Inzaghi, allenatore con il physique du rôle adatto alla real casa sabauda, senza alcun problema nei confronti del potere, senza alcuna ossessione a martoriarlo giorno e notte. Senza sogni. E invece colpo di scena. Arriva l’uomo di cui nessuno ha mai conosciuto nemici o ossessioni, di cui nessuno conosce i sogni. Forse li conosce solo il potere. Dopo essersi lasciato male con il Milan ed essere approdato alla Juventus da giocatore, Andrea Pirlo è infatti entrato nel cerchio magico della famiglia reale sabauda. La scorsa settimana era stato presentato come nuovo allenatore della squadra Under 23, senza alcuna gavetta. L’inizio di un percorso di crescita che lo avrebbe dovuto portare a breve in prima squadra. Invece i tempi sono stati accelerati.

ANDREA PIRLO è amico e complice di Andrea Agnelli, segno che i rapporti con Fabio Paratici e Pavel Nedved, nonostante le conferme pubbliche, non sono così solidi. Perché lo Juventus Football Club è una squadra vecchia, stanca, assemblata male e con stipendi altissimi. Per questo serve continuare con una nuova rivoluzione, questa volta decisamente più conservatrice. Per questo serve un nuovo sogno.

COME HA SCRITTO David Peace ne Il Maledetto United parlando di Brian Clough, ma anche di Maurizio Sarri, «Hai paura, paura dei tuoi sogni; i tuoi sogni che una volta erano i tuoi amici, i tuoi migliori amici, e adesso sono i tuoi nemici, i tuoi peggiori nemici. È qui che ti trovano, nei tuoi sogni». Per fortuna, almeno nel pallone, è ancora lecito sognare. Mentre Andrea Pirlo imparerà a fare l’allenatore nel cuore del potere che lo ha plasmato, e sapremo di che materia sono fatti i sogni di questo alchimista improvviso e improvvisato, Maurizio Sarri tornerà a cercare rivoluzioni. E noi con lui. Senza ossessioni, fuori dai luoghi del potere.