«Se l’Italia e la Francia non procederanno con le riforme annunciate, si arriverà a un inasprimento della procedura sul deficit». «Se alle parole non seguiranno i fatti per questi paesi sarà spiacevole, ma i governi ci hanno garantito che faranno quanto annunciato». Queste le dichiarazioni alla Frankfurter Allgemeine Zeitung di un Jean-Claude Juncker sempre più indebolito e destabilizzato dalle nuove rivelazioni sul caso Luxleaks, dopo quelle di inizio di novembre. Le notizie sono arrivare poco prima che prestasse giuramento solenne di fronte alla Corte di giustizia europea, che ha sede in Lussemburgo. «Non è una coincidenza», pensano a Bruxelles.

Juncker è difatti sulla difensiva: dopo le rivelazioni sulle 340 multinazionali che hanno concluso degli accordi fiscali in Lussemburgo, le nuove informazioni riguardano un gruppo di altre società. Tra esse Skype, Walt Disney, le Koch Industries dei fratelli Koch (finanziatori dei Tea Party), la canadese Bombardier, Telecom Italia. Questi nomi si aggiungono a Amazon, Pepsi, Heinz, Apple, Ikea ecc., tutte multinazionali che tra il 2002 e il 2010 hanno concluso con il Lussemburgo degli accordi cosiddetti di tax ruling, cioè hanno trattato per sapere in anticipo quanto avrebbero pagato. Le rivelazioni di Luxleaks II parlano di accordi firmati tra il 2003 e il 2011. In ogni caso, si tratta sempre di anni durante i quali Juncker aveva responsabilità politiche nel suo paese: è stato primo ministro dal ’95 al 2013 e in certi periodi ha persino ricoperto la carica di ministro delle finanze. Juncker sa tutto della Ue, è l’unico ancora in attività ad aver negoziato il trattato di Maastricht.
Gli accordi con il Lussemburgo erano molto vantaggiosi per le multinazionali: per esempio, Skype ha potuto nascondere al fisco il 95% degli utili e pagava cosi’ solo sul 5% restante, mentre il tasso reale di imposizione per la Walt Disney Lussemburgo era dello 0,28%.

Adesso, per difendersi, Juncker promette «l’armonizzazione fiscale è una necessità, si farà». Afferma che la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, è completamente «libera delle sue azioni» e potrà indagare sugli accordi di Luxleaks I e II, senza subire intralci. Il Lussemburgo, poi, «sostiene» la volontà della Commissione di arrivare in tempi non troppo lunghi a varare una direttiva sugli scambi di informazioni tra stati, per evitare dei tax ruling segreti. Anzi, il Lussemburgo afferma che, su domanda specifica, ha già informato Francia e Belgio.

Il Commissario agli Affari politici e monetari, Pierre Moscovici, è stato incaricato di preparare una direttiva in questo senso. Moscovici ha promesso che un «processo» verrà messo in atto, «dal 2015 ci sarà una road map per lottare meglio contro la concorrenza fiscale, nociva per l’erosione delle basi fiscali e per il trasferimento di utili». Juncker si rende conto di essere in difficoltà. In un’intervista a Libération, ha ammesso: «sono indebolito», perché Luxleaks «lascia credere che avrei partecipato a manovre che non rispondono a regole elementari di etica e morale». Però, aggiunge Juncker, 22 paesi su 28 hanno fatto del tax ruling (e la Commissione ha in corso un’inchiesta che riguarda Starbucks in Olanda e Apple in Irlanda, oltre a quelle su Fiat e Amazon in Lussemburgo). «Voglio credere che la mia credibilità non è intaccata», ha aggiunto nell’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Ma la credibilità di tutta la Commissione Juncker rischia di essere intaccata dalle ultime manovre in corso. L’Eurogruppo di questa settimana ha sotterrato – almeno per il 2015 – la tassa sulle transazioni finanziarie, che 11 paesi avevano promesso di varare per frenare la speculazione. Sono gli stati ad essere responsabili – Francia in testa, dove Michel Sapin si è piegato alle banche – ma la Commissione non si è mossa. Inoltre, con una lettera inviata a fine novembre al vice-presidente Frans Timmermann, il commissario ai servizi finanziari, il britannico Jonathan Hill, propone il ritiro del progetto di riforma bancaria, che aveva preparato il suo predecessore, il francese Michel Barnier. Hill, uomo della City, è la volpe nel pollaio. Barnier voleva importare nella Ue la riforma Volker degli Usa, proibendo alle banche «sistemiche» di speculare in proprio nome sui mercati dei prodotti finanziari e di materie prime. Per la banche è una proposta «irresponsabile» che la Commissione Juncker si appresta a mettere in fondo a un cassetto.