«Gli americani in genere non hanno attenzione verso l’Europa, questo è vero per la classe dirigente e per l’America profonda. Per quanto riguarda mister Trump, pensa che il Belgio sia un paesotto da qualche parte nel nostro continente…in breve, dobbiamo spiegargli cosa è l’Europa e quali sono i suoi principi di funzionamento. Francamente credo che mister Trump perderà due anni, il tempo per fare il giro del mondo che non conosce».

Si può pensare che con queste parole, pronunciate ieri a un convegno sui Costruttori dell’Europa in Lussemburgo, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker si sia lasciato un po’ andare – poco prima parlando di suo padre soldato durante la Seconda guerra mondiale si era anche commosso – oppure si può spiegare il giudizio sarcastico con il disappunto per l’invito esclusivo, rivolto dallo stesso Trump in una calorosa telefonata di giovedì pomeriggio con la premier britannica Theresa May, a un primo incontro bilaterale riservato ai nuovi partner strategici al di là dell’Atlantico, gli inglesi post Brexit. È però più probabile che Juncker abbia voluto rimarcare cosa significherebbe dare corso a un disimpegno netto degli Stati Uniti dall’alleanza privilegiata con l’Unione europea, a cominciare da smettere di finanziate la Nato.

Già a Berlino il giorno prima Juncker aveva affermato che l’approccio isolazionista del prossimo inquilino della Casa Bianca e gli annunciati tagli ai fondi per l’Alleanza atlantica non danno altra scelta all’Europa che rafforzare le strutture comuni di difesa e sicurezza. Per la prima volta Juncker ha fatto suo l’obiettivo della «creazione di un esercito europeo». L’elezione di Trump, ha specificato ieri, comporta «conseguenze perniciose» che riguardano anche «le attitudini nei confronti di migranti e statunitensi non bianchi, attitudini che non rispettano i valori europei».

Ma a Berlino aveva anche messo nella lista delle cose da verificare: l’accordo sull’area di libero scambio commerciale (il Ttip, dato ormai per morto) e l’accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Il presidente eletto a Washington ha detto che ha intenzione di stracciarli. Ma Juncker è cosciente – «nella mia lunga vita ho lavorato con quattro presidenti Usa», dice – che non sempre si fa quello che si dice in campagna elettorale.

Trump ha promesso molte rotture. I banchieri tedeschi temono ad esempio che mandi effettivamente al macero anche il Dod-Frank Act, la legge con cui Barack Obama aveva cercato di mettere alcuni limiti alle operazioni più spericolate sui derivati.

Per togliersi da questo clima di incertezza ieri il polacco Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, ha preso l’iniziativa di inviare un invito formale a Trump per un vertice chiarificatore a Bruxelles.

Mentre il presidente francese François Hollande abbandonando l’iniziale freddezza, ha alzato la cornetta e chiamato Trump per uno scambio di opinioni sugli impegni statunitensi in Medioriente. In sette-otto minuti di telefonata i due sarebbero riusciti a parlare di Siria, Cop 21 e persino dell’intesa sul nucleare iraniano.

Per gli alleati europei attendere fino a gennaio, quando Trump diventerà comandante in capo in carica, sembra un tempo troppo lungo. Così Lady Pesc Federica Mogherini ha già convocato a raccolta, lunedì e martedì prossimi, i ministri degli Esteri e della Difesa dei 28 per definire un piano di sicurezza e difesa da implementare entro marzo.

Come ha detto la stessa Mogherini al forum annuale dell’Agenzia per la difesa, giovedì a Bruxelles, il modello c’è già, «l’estensione del programma Horizon 2020», costoso programma di ricerca e sviluppo di nuovi sistemi d’arma e di controllo del territorio che ingloba già grandi industrie armiere, università, centri di ricerca, agenzia spaziale. Per una grande corsa agli armamenti made in Europe.