Nemmeno se si fosse scritto la sceneggiatura in coppia con Guerini, Renzi avrebbe potuto sperare in un attacco più utile di quello lanciato venerdì da Jean Claude Juncker. Quale regalo poteva essere più gradito, in fase di magra, con le elezioni a un passo e buona parte del popolo votante che solo a nominare l’Europa muggisce come un toro nell’arena, di un frontale tanto aspro col presidente dell’odiata Commissione in persona? L’occasione è troppo ghiotta per non spremerla fino all’ultima gocciolina, e infatti il premier, dalla reggia di Caserta, invece di glissare insiste: «L’Italia deve far capire, con la gentilezza che le è propria, che è finito il tempo in cui qualcuno poteva immaginare di telecomandarci». E dopo aver titillato l’orgoglio tricolore, come fosse il se stesso versione Crozza: «L’Europa è un fatto di gioia e di bellezza, non un’accozzaglia di regolamenti». Poi, con tutto quel che succede in questo mondo canaglia, queste sì che sono «polemiche assurde».
Il lussemburghese ha servito una palla troppo facile per non mandarla in rete. Certo, prima o poi potrebbe arrivare il conto, ma Renzi non è tipo da preoccuparsi del dopodomani. L’urgenza al momento sono le comunali, e da quel punto di vista la rissa è oro colato. Prova ne sia l’imbarazzo dell’opposizione, che letteralmente si arrampica sugli specchi. Per l’occasione si scomoda addirittura l’ex per antonomasia, Silvio Berlusconi, e ancora è il più capace perché trova modo di svicolare: «In Europa non siamo considerati perché Renzi non è il rappresentante legittimo dell’Italia». Per il resto è un imbarazzante coro di elogi all’europeo da parte di ufficiali che di solito accusano il fiorentino di non sfoderare gli attributi a sufficienza in quel di Bruxelles. Il che dice tutto su quanto l’intemerata del presidente rigorista abbia messo in difficoltà molto più loro che non l’oggetto dell’attacco.
E’ vero che la situazione potrebbe a un certo punto rovesciarsi. Ma l’inquilino di palazzo Chigi è ottimista. Con l’intero impianto dell’Unione che traballa nessuno si può permettere di farsi un nemico in più, e Renzi, a conti fatti, è comunque molto più rassicurante dei suoi rivali. Prima di sgambettarlo, l’Europa dovrà pensarci non una ma dieci volte. E con alle spalle una figura che, se non si trattasse di tragedia, sarebbe da comiche finali sui rifugiati, Renzi non esiterebbe a cercare di spostare lo scontro da Roma a Bruxelles, andando lui all’offensiva invece di difendersi.
Non significa che a palazzo Chigi e al Mef non ci sia preoccupazione. Ieri Bruxelles ha abbassato la tensione rifiutando di commentare il nuovo affondo dell’italiano, e difficilmente arriverà a bocciare la legge di bilancio, pur non apprezzandola affatto, dopo averla «rimandata ad aprile» lo scorso autunno. Però, senza un miracoloso miglioramento del quadro economico e finanziario o senza un tempestivo rasserenamento nelle relazioni con l’Europa, la prossima legge di bilancio sarà tutta in salita. Non a caso nello stato maggiore del capo qualcuno, la settimana scorsa, vagheggiava rocamboleschi quanto improbabili strategie per votare in ottobre, prima di dover calare la scure fiscale sul popolo votante: un miraggio, ma eloquente. Ma di questo ci si occuperà più tardi.
Al momento, quel che conta è la campagna elettorale, ed è in quel quadro che va inserito anche il secondo affondo: «Non capisco le polemiche dei sindacati sul nostro annuncio di decidere il licenziamento in 48 ore di chi viene sorpreso a timbrare il cartellino e andare via. Dobbiamo mettere le cose a posto a casa per chiedere rispetto fuori». Insomma, la decapitazione degli assenteisti sarà poi anche un’arma da brandire in Europa. Ma soprattutto gli statali non sono popolari in Italia, e i sindacati nemmeno. La linea dura porterà consenso e voti.
Le confederazioni, infatti, replicano smentendo dissensi sul pugno di ferro. «Primi e inflessibili a denunciare e dissociarci dai casi di assenteismo ingiustificato», replica il segretario generale della Fp Cgil Rossana Dettori. Certo non sarebbe male se Renzi «applicasse la stessa solerzia nel rinnovo dei contratti pubblici». Già perché se si può cacciare la gente in 48 ore, non si capisce perché non siano bastati sei anni a rinnovare quei contratti. Anche Cils e Uil si schierano sulla stessa linea del Piave. Assicurano di non aver nulla da ridire sul rigore che mercoledì prossimo il consiglio dei ministri deciderà senza dubbio di adottare nei confronti dei «truffatori». Ma che arrivi nel contempo anche il più lugamente atteso dei contratti!
Non saranno accontentati e il motivo lo sanno perfettamente anche loro. Chiudere quel contratto sarà pure giusto e necessario. Ma in termini di voti è ininfluente, e non aiuta a battere i giustizialisti a cinque stelle sul loro stesso terreno.